Opinioni

Il direttore risponde. Scuola, non slogan ma numeri

giovedì 6 ottobre 2011
Gentile direttore,
durante la trasmissione "L’Infedele" (La7) del 3 ottobre, lei ha affermato che in base a una legge emessa da un governo di centrosinistra le scuole confessionali sono state considerate scuole pubbliche come quelle statali e ha spiegato che le scuole cattoliche, se ho ben capito, ottengono un finanziamento dallo Stato attorno ai 500 milioni di euro contro circa 50 miliardi di euro delle statali. Le sarei grato se volesse fornirmi la documentazione e lo sviluppo della tesi che la sua affermazione – studiatamente mediatica, a mio modesto giudizio – intende sostenere. La ringrazio sentitamente della sua risposta che immagino vorrà conclamare la limpidezza e la profonda onestà intellettuale che un comune cittadino italiano si attende da un esponente ufficiale della Chiesa cattolica. La saluto con simpatia.
Franco Forcellini
 
La ringrazio per la simpatia, gentile signor Forcellini, e per la sua voglia di sapere ciò che normalmente non viene detto su gran parte della stampa italiana quando si parla di scuola pubblica (e si trasforma quell’aggettivo "pubblica" in sinonimo di "statale"). La legge 62/2000 conosciuta anche come legge Berlinguer (dal nome dell’autore, Luigi Berlinguer, allora ministro della Pubblica Istruzione), dando applicazione ai princìpi contenuti negli articoli 33 e 34 della Costituzione, ha infatti sancito che la scuola pubblica italiana (come quella di tanti altri, e comunque dei principali, Paesi europei) è un sistema basato su due pilastri: la scuola statale e la scuola non statale paritaria. La prima istituita direttamente dallo Stato, la seconda istituita «senza oneri per lo Stato» da altri, cioè da soggetti sociali (cattolici e no). Agli alunni delle scuole paritarie – che per essere tali hanno «diritti» e «obblighi» fissati dalla legge e devono dunque laicamente garantire precisi standard – la Costituzione assicura «un trattamento equipollente a quello degli alunni di scuole statali». La legge Berlinguer è orientata a questo. Come? Portando il principio sul piano della realtà, cioè dentro al nostro ordinamento sia pure in modo non compiuto. Perché dico in modo non compiuto? Rispondo con i numeri, che abbiamo pubblicato diverse volte e che aiutano a capire il punto con l’eloquenza che è loro propria. Qualche sera fa, all’"Infedele", li ho citati a memoria e "alla grossa", ora lo faccio con precisione. E vedrà, caro signor Forcellini, che non si tratta di uno slogan mediatico a effetto. I fondi attribuiti complessivamente al sistema di scuola pubblica ammontano a 44 miliardi di euro (la fonte sono gli ultimi dati consolidati disponibili, forniti dal Ministero nel 2009). Così suddivisi tra scuole statali e scuole non statali paritarie. Statali: 7.800.000 studenti, 43,5 miliardi di fondi pubblici, 5.500 di euro pro capite. Paritarie: 1.060.000 studenti, 532 milioni di fondi pubblici, 500 euro pro-capite. Mi sembra tutto molto chiaro. Capisco che possa sorprendere, ma solo perché si raccontano – e a volte con inusitata asprezza polemica – tante favole.
Non è una favola, invece, ma un calcolo che si può fare anche a spanne, il "valore" rappresentato dalla scuola paritaria nell’ambito del sistema pubblico d’istruzione. Se la paritaria sparisse di colpo, lo Stato – per coprire il vuoto – dovrebbe infatti investire almeno altri 6 miliardi l’anno per garantire il diritto allo studio del milione e passa di studenti che la frequentano. Tutto ciò fa capire che lo Stato dà alle paritarie più o meno la dodicesima parte di ciò che "riceve" da esse. È un discorso che faccio solo perché è utile a capire che quando si parla di natura pubblica della scuola paritaria, che è in buona misura cattolica, non si fa solo retorica o si appiccica un’etichetta di comodo a ciò che è strutturalmente "privato". La scuola paritaria è infatti pubblica per l’apertura (è rivolta a tutti), per la proposta educativa (è fatta secondo la legge e non in modo "confessionale" anche nel caso che sia promossa da soggetti cattolici o ebraici o di altra religione) e per il contributo che dà a un bene di tutti (lo Stato non spende per istituirla, ma può "usarla" nel proprio sistema d’istruzione perché all’altezza degli standard fissati e verificati). Eppure ancora oggi ottiene una considerazione tale da non garantire ai suoi allievi quel «trattamento equipollente» che la Costituzione prevede. La strada per la vera parità è, insomma, ancora lunga, caro Forcellini. E non è ancora pienamente riconosciuto e attuato il diritto di libertà che spetta a ogni famiglia (quale che sia il reddito) a scegliere l’istruzione da dare ai propri figli. Perché non ci siano equivoci aggiungo: il problema è dare di più a tutta la scuola pubblica, statale e non statale, non solo di dare forza alla "cenerentola" paritaria che in diverse situazioni è ormai a rischio di sopravvivenza.
La saluto, con una piccola nota finale: ho titolo a essere definito, come lei fa, «esponente ufficiale della Chiesa cattolica» esattamente come ogni battezzato e ogni partecipante alla comunità cristiana. E per questo, mi creda, sento nel mio piccolo una responsabilità grande. Almeno pari a quella, del tutto professionale, che mi deriva dal fatto di dirigere un giornale. Un cordiale saluto.
Marco Tarquinio