Opinioni

Fragilità politica. No a discriminazioni omofobe, ma senza «conflitti di diritti»

Ernesto Preziosi e Riccardo Saccenti giovedì 23 luglio 2020

Caro direttore,

la calendarizzazione del disegno di legge sull’omofobia ha riacceso, in una parte dell’opinione pubblica, un confronto da 'guerra di religione'. Da una parte vi sono i sostenitori di una necessità di circoscrivere l’omofobia come reato a sé stante, che rivela anche la volontà di marcare per via legislativa una specifica identità di gruppo; dall’altra parte vi sono quanti rivendicano il primato della 'famiglia naturale' e paventano una deriva anticristiana e relativista che metterebbe in discussione la tenuta del vivere sociale. Tutto questo in un Paese che forse, nella sua larga maggioranza, segue con distacco l’oggetto della discussione. Eppure, la questione è centrale, soprattutto all’interno di una società democratica, perché al di sotto delle polemiche il tema attorno a cui ruota la vicenda investe il terreno dei diritti e doveri che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica.

Noi di Argomenti 2000 partecipiamo a una realtà culturale e politica che riunisce, attraverso una rete di Circoli e associazioni locali, persone di area cattolica impegnate nell’ambito sociale e politico. E riteniamo che di fronte alla questione delicatissima e cruciale delle discriminazioni, di ogni discriminazione, l’orizzonte costituzionale che abbiamo appena richiamato impone uno sforzo di carattere sociale e culturale da parte non solo delle istituzioni, ma di tutto il tessuto civile. Perché è in questa dimensione soltanto che può maturare quella coscienza morale imperniata sul sistema dei diritti e dei doveri la quale guarda agli strumenti della politica per creare condizioni di libertà compiuta.

Entrando più nel dettaglio del provvedimento in discussione, occorre dire che l’esigenza di una legge che tuteli contro inaccettabili tendenze omofobe va ricollocata dentro il quadro dei provvedimenti che sanzionano gli atti lesivi della persona, in modo da produrre un rafforzamento del dispositivo legislativo su tutto il ventaglio di reati che riguardano questo ambito. Intervenendo sull’articolo 61 del codice penale, infatti, si potrebbe cogliere l’occasione di una discussione così importante per accrescere la tutela dei diritti di tutti i soggetti che sono oggetto di discriminazioni che violano il fondamento personalista della nostra vita sociale e politica. Da questo punto di vista, l’urgenza di tutelare la persona da discriminazioni o offese motivate in ragione dell’orientamento sessuale, verrebbe tutelata in ragione della unitarietà di un principio, quello della dignità della persona, che ha invece una tensione universale e che è il criterio che fonda la democrazia repubblicana come democrazia dei diritti e dei doveri. L’intervista che lo scorso 3 luglio Luciano Moia ha realizzato su 'Avvenire' con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, ha dato un serio e utile contributo di chiarezza in questo senso. Seguendo tale via, si eviterebbe inoltre il rischio di alcuni pericolosi 'conflitti fra diritti': ad esempio, il testo da cui si è partiti sembra non distinguere con chiarezza fra chi propaga idee, esercitando un diritto insopprimibile di libertà di espressione o di professione di credo religioso, e chi istiga a commettere atti di violenza o di discriminazione.

Queste considerazioni suggeriscono che la vicenda del progetto di legge sull’omofobia, prima ancora che ridursi a un muro contro muro di opposte ideologie, sia rivelatrice della fragilità di una classe dirigente che sembra aver perso la coscienza dei limiti della politica stessa, che si misurano proprio sul terreno dei diritti e dei doveri. Rispetto a questi ultimi ad un approccio democratico viene chiesto un esercizio di prudenza che non va mai confuso con il timore o la circospezione, ma che è autentica sapienza perché è intelligenza politica delle cose che sa come occorra sempre guardarsi da ogni tentazione di sovrapposizione fra etica e politica. Un rischio che si corre nel voler fare dei diritti individuali un paradigma assolutizzato, disincarnato da un quadro storico e culturale di cui invece è lievito e con il quale deve crescere. Un rischio che si corre anche nel voler affermare schemi, strutture o modelli sociali e antropologici, senza capire che essi sono autentici quando esprimono una fedeltà ai diritti e ai doveri.

Associazione Argomenti2000