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L'analisi. La «mafia delle carceri» adesso punta all'Europa

Lucia Capuzzi domenica 2 aprile 2017

Negli ultimi tempi, sono aumentati i sequestri a Gioia Tauro di cocaina proveniente da Santos

La prima linea sono le carceri. Il cuore della battaglia, però, è fuori. Dalle prigioni e dal Brasile. E la posta in gioco è molto più alta della “sovranità” nei padiglioni penitenziari. Il Primeiro comando capital (Pcc) vuole il controllo della «frontiera della coca». I valichi di confine, cioè, che connettono il Gigante del Sud ai Paesi produttori: Colombia, Perù e Bolivia. Non a caso, le “rivolte' sono scoppiate soprattutto nelle carceri più vicine alle zone contese. Il sistema di cogestione con le altre organizzazioni criminali – in primis ComandoVermelho e Familia do Norte – andava bene per rifornire di droga il mercato interno. Ma il Pcc non si accontenta più di essere la prima delle «mafie dei poveri» brasiliane: un giro d’affari da 120 milioni di dollari all’anno, secondo le stime del governo.

Tanto. Eppure poco rispetto a quanto rende la cocaina nel Nord del pianeta. L’ex gruppo di auto-protezione dei detenuti di Taubaté ha fatto strada. Sono trascorsi 24 anni da quando i prigionieri del penitenziario di San Paolo decisero di fare fronte comune contro le violenze delle guardie. L’obiettivo dichiarato era impedire altri massacri, come quello avvenuto l’anno prima a Carandiru, quando la polizia militare assassinò 111 persone. Ben presto, tuttavia, il gruppo si trasformò in una gang criminale. E conquistò gli altri penitenziari paulisti. Per poi estendersi nel resto della città e del Paese. In questo, l’organizzazione – diffusa in 27 Stati – ha seguito le orme del suo più illustre “predecessore” e attuale nemico: il Comando Vermelho. Anche quest’ultimo si formò, negli anni Settanta, nel carcere di Ilha Grande, grazie alla commistione tra detenuti politici e comuni, come gruppo di autodifesa. Ora, però, gestisce lo spaccio in oltre il 30 per cento del territorio di Rio. Al Pcc però non basta, è determinato a fare il grande passo: entrare nel business dell’export di cocaina in Europa. Il controllo del Porto di Santos, a un centinaio di chilometri da San Paolo, offre una preziosa opportunità logistica per accreditarsi di fronte alle multinazionali del narcotraffico, in particolare la ’ndrangheta. I contatti con quest’ultima sono stati già attivati.

«Il Pcc esporta già cocaina nel Vecchio Continente, seppur non in quantità consistenti. L’organizzazione, però, si è resa conto che le vendite all’estero fruttano molto. Pertanto, cerca di concentrarsi su quel business», spiega Lyncoln Gakiya, procuratore del Gruppo di azione speciale contro il crimine organizzato. Negli ultimi tempi, sono aumentati i sequestri a Gioia Tauro di cocaina proveniente da Santos. Nel 2014, l’Operazione Oversea, ha messo in luce i contatti tra Pcc e le ’ndrine calabresi. «Certo, il Primeiro comando ha una struttura estremamente decentrata. Ogni “ramo” decide da solo – sostiene Gabriel Feltran, sociologo dell’Università federale São Carlos –. Non tutta l’organizzazione, dunque, si è lanciata nell’export». Finora. A offrire un ulteriore stimolo in tal senso, è il vuoto criminale lasciato dallo scioglimento delle Farc nella vicina Colombia. E il Pcc ha subito cominciato ad affiliarne i transfughi.