Economia

Lotta alla povertà/2. «Spendere meglio con un Welfare di tipo generativo»

Cinzia Arena venerdì 4 maggio 2018

Tiziano Vecchiato presidente della Fondazione Zancan

Distribuire o produrre? Reddito di base o servizi? É partito da questo dilemma il dibattito lanciato ieri da Francesco Gesualdi sulle pagine di Avvenire su quale sia la strada che lo Stato deve imboccare per garantire ai cittadini il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Deve limitarsi a fare da collettore e distributore della ricchezza prodotta per assicurare a tutti una quantità minima di soldi (il reddito di base che è cosa diversa dal reddito d’inclusione e dal reddito di cittadinanza proposto dal Movimento Cinque stelle proprio perché rivolto a tutti in maniera indifferenziata, è, appunto, universale) oppure deve produrre servizi adeguati e gratuiti non solo sui fronti come la scuola e la sanità, ma individuando anche altri campi di intervento in linea con i tempi? In Finlandia duemila disoccupati sono stati scelti a caso per una sperimentazione: ricevono un assegno di 560 euro esentasse ogni mese, anche nel caso in cui dovessero trovare un lavoro. L’obiettivo dei ricercatori era capire che effetto avesse questo reddito di base sul benessere dei cittadini e sul loro atteggiamento verso la ricerca di un impiego. Il governo però ha sospeso il test, annunciando altri esperimenti di welfare innovativo. In Italia una misura universalistica come il reddito di base costerebbe 480 miliardi di euro l’anno. Una follia. Ma soprattutto, secondo Francesco Gesualdi, non risolverebbe i problemi reali. Mentre ridisdegnare la mappa dei servizi gratuiti potrebbe avere benefici più vasti. Ad esempio investendo sulla tutela dell’ambiente ed ipotizzando, sul modello tedesco, mezzi pubblici gratuiti a partire dalle grandi città o servizi di accompagnamento alla prima infanzia come gli asili nido.

Un welfare 'generativo' che abbia come obiettivo spendere meglio, anzi 'moltiplicare' le risorse a disposizione. Perché il sistema assistenzialistico, delle erogazioni a pioggia e a fondo perduto, ha dimostrato da tempo la sua inefficacia. Tiziano Vecchiato, presidente della Fondazione Emanuela Zancan che realizza attività di ricerca e sperimentazione per innovare i servizi alle persone, è convinto che in Italia si possa fare molto di più per sostenere le fasce deboli della popolazione senza incrementare le risorse messe a disposizione dallo Stato.
Su Avvenire si è aperto il dibattito sull’ipotesi di servizi di base gratuiti per tutti contrapposti all’idea del reddito di base. Quale strada secondo lei è percorribile in Italia?
Si tratta di due strategie universalistiche non condivisibili né percorribili. Il vero problema non è raccogliere per ridistribuire a tutti in parti uguali bensì moltiplicare, mettere a frutto le risorse che pure ci sono, per sostenere chi ha più bisogno.

Quindi il problema non è la mancanza di risorse? A Milano abbiamo fatto un’analisi su cosa succede ad una persona che si trova in difficoltà economiche. Ha di fronte ben 65 possibilità 'pubbliche' di avere un supporto economico. Ma dovrebbe aver fatto un corso specifico per riuscire a districarsi in questa giungla. Il risultato è che ai bandi accedono solo alcune persone. Ma gli aiuti erogati in questo modo, ammesso che vadano davvero ai più bi- sognosi, non bastano per uscire dalla condizione di indigenza.

Il reddito di inclusione è stato un traguardo a lungo atteso nella lotta alla povertà.
Abbiamo impiegato cinque anni a dibattere sul fatto che serviva una misura di sostegno agli ultimi. Ma il Rei non è una misura universale, è categoriale, vi può accedere solo chi è al di sotto una certa soglia di reddito e non ha altri aiuti. I tassi di povertà non si sono ridotti, anzi sono cresciuti negli ultimi dieci anni. Il 30% delle famiglie più povere detiene solo l’1% della ricchezza complessiva. Il compito dello Stato è ridurre le diseguaglianze. A fine anno ci sono stati 62 miliardi per trasferimenti assistenziali in Italia. Di questi sette miliardi ai Comuni che sono gli unici in grado di dare servizi diretti (accesso al nido, sussidi per affitto). Per il resto si tratta di erogazioni stratificate nel tempo.

Quali soluzioni concrete potrebbero essere realizzate invece?

Il 90% della spesa assistenziale è fatta di trasferimenti senza servizi. La Fondazione Zancan ha ipotizzato che utilizzando 1,5 miliardi dei trasferimenti ai Comuni per allargare l’accesso ai nidi pubblici si avrebbe un duplice beneficio. Fa un lato il raddoppio del numero di bambini che li frequenta (diventerebbero 400mila) dall’altro la creazione di 42mila posti di lavoro, soprattutto per le donne. Questo è quello che noi chiamiamo welfare generativo, un welfare che crea ricchezza. Penso al caso di bambini con dislessia, piuttosto che ricevere degli assegni le mamme intervistate, hanno chiesto la possibilità di accedere gratuitamente alla logopedia.

Meno assegni insomma e più servizi, sembra una soluzione semplice e senza impatto economico.
Il governo Renzi aveva messo sul tavolo 9 miliardi per i famosi 80 euro, per il Rei sono stati stanziati due miliardi. Ma bisogna fare un passo avanti per creare ricchezza da quelle risorse. Ad esempio in Italia si spendono circa 12-13 miliardi di indennità per persone con disabilità. Non è ovviamente ipotizzabile togliere l’indennità di accompagnamento ma bisogna fare un passo avanti, consentendo a queste persone ad esempio di imparare un mestiere. Valorizzare le capacità dei singoli porta benefici alla comunità.