Chiesa

IL LABORATORIO DEI TALENTI. Oratorio, «ponte» tra Chiesa e strada

Enrico Lenzi sabato 6 aprile 2013
«Il laboratorio dei talenti». Il titolo della Nota pastorale della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali e di quella per la famiglia e la vita, sintetizza nel migliore dei modi lo spirito che un oratorio deve possedere. E nel documento si ribadisce con chiarezza che «è l’espressione tipica dell’impegno educativo di tante parrocchie» e proprio per questo la Chiesa italiana intende «incentivare e sostenere l’oratorio quale via privilegiata per educare alla vita buona del Vangelo». Il documento è suddiviso in tre parti, che cercano di fare «memoria» e di ribadire «l’attualità» dell’oratorio, ma anche di fare chiarezza sui «fondamenti e le dinamiche» che in esso vengono realizzate, confermando di fatto «l’impegno e la responsabilità ecclesiale» per la vita di questa struttura. Nella prima parte la Nota delle due Commissioni episcopali della Cei mostra come l’oratorio abbia radici nel passato e tradizioni presenti in quasi tutto il Paese. Un percorso storico che dimostra come «gli oratori non si sono limitati al recupero, all’istruzione o all’assistenza dei ragazzi», ma hanno saputo «valorizzare e abitare la qualità etica dei linguaggi e delle sensibilità giovanili, promuovendo a un tempo, musica, teatro, letteratura e contemporaneamente gioco, sport e festa». Insomma, gli oratori come «ponti tra la Chiesa e la strada». Decisamente corposa la seconda parte della Nota, che affronta «fondamenti e dinamiche dell’oratorio». Per chi vive la realtà oratoriana, queste pagine diventano «conferma» e «sprone» per il proprio impegno in Oratorio, che «nel contesto delle iniziative delle Chiese locali rappresenta un punto solido per la pastorale dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani». Anche per questo il documento Cei punta molto sulla necessità di «elaborare e animare un progetto educativo dell’oratorio», con una «forte e rinnovata alleanza con le famiglie». Del resto è «compito primario dell’oratorio valorizzare il ruolo delle famiglie e sostenerlo, sviluppando un dialogo aperto e costruttivo». Un’alleanza che può anche recuperare «la dimensione vocazionale» di quest’ambiente, aiutando «un cammino di autentico discernimento». E il cammino vocazionale non può prescindere da un impegno di evangelizzazione che trova nell’oratorio «un luogo fecondo», non solo attraverso «la catechesi e l’azione liturgica», ma «ogni singola attività ed esperienza» dell’oratorio. Proprio alla luce di questi impegni l’oratorio è chiamato «a essere accogliente» con tutti, ma l’accoglienza «non può mai comportare disimpegno o svendita dei valori educativi». Passaggio non facile anche perché, riconosce lo stesso documento Cei, in diverse realtà ci si deve misurare «con situazioni di grave degrado sociale e culturale». Ecco allora che «lo stile di accoglienza dell’oratorio esige una chiara impostazione identitaria e progettuale», che veda un impegno di tutti i soggetti impegnati nella formazione e nella cura dell’ambiente. Il tutto con l’obiettivo finale di «aiutare ciascuno a scoprire i propri talenti e a metterli a frutto per il bene di tutti». Per farlo, aggiunge la Nota, occorre prestare attenzione ai luoghi («sobri, ordinati e dignitosi»), ai tempi («aiutando ragazzi e famiglie a umanizzare il tempo») e ai linguaggi (sapendo usare quelli di ogni tempo). E in questo «laboratorio» - anche culturale - la comunità ecclesiale è chiamata a «un impegno e a una responsabilità», come sottolinea la terza parte del documento. Non solo il sacerdote, l’educatore, l’animatore, l’allenatore sportivo (insomma quelle che il documento chiama «figure educative autorevoli»), ma l’intera comunità parrocchiale è chiamata a sentirsi responsabile di questa realtà. Persino «gli ammalati con il loro silenzioso apostolato contribuiscono non poco al bene dell’oratorio». Progettazione, identità e accoglienza. Caratteristiche che fanno dell’oratorio un luogo di crescita, di formazione cristiana e di integrazione con altre culture. Insomma dei «laboratori educativi» in cui «far sbocciare i talenti di ciascuno».