Chiesa

Intervista. La presidente dei Focolari: "Dalla crisi usciamo più umili e più umani"

Riccardo Maccioni sabato 10 aprile 2021

Margaret Karram

Araba, cristiana-cattolica, laureata in ebraismo. Nella carta d’identità di Margaret Karram, la nuova presidente dei Focolari, c’è la sintesi dell’impegno per l’unità e il dialogo che ispira la sua vita. Nata ad Haifa, in Israele, 58 anni, è stata eletta dall’Assemblea generale del Movimento il 31 gennaio scorso, con approvazione vaticana, come da statuti, il giorno successivo. Il primo sentimento – confida – è stato di «grande gratitudine. Gratitudine per la Chiesa che ha confermato la mia nomina; gratitudine a tutti i membri del Movimento dei Focolari nel mondo e a Chiara Lubich, dalla quale ho conosciuto la spiritualità dell’unità e che mi ha fatto crescere nella vita del Vangelo giorno dopo giorno».

Il Movimento ha appena concluso il centenario della fondatrice. In cosa Chiara Lubich è particolarmente attuale?
Nel messaggio di Gesù al centro della nostra spiritualità, cioè “Che tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 20-26). Queste parole sono una risposta straordinaria alla fame e sete di fraternità, di giustizia, di pace e unità che l’umanità esprime oggi nelle spaccature più varie che si trova ad affrontare. All’Assemblea generale del Movimento abbiamo voluto guardare al grido dell’umanità di oggi, a chi è escluso dal circuito del lavoro e quindi dalla dignità; all’allarme ambientale, alla condizione della famiglia, alle nuove povertà generate dalla pandemia. Ci stiamo interrogando su cosa significhi vivere oggi il carisma dell’unità che Chiara ci ha consegnato, sul nostro impegno negli ambiti della Chiesa e della società.

Chiara Lubich - Archivio Avvenire

E quali dei suoi insegnamenti hanno particolarmente ispirato la sua scelta di vita?
Ho conosciuto il Movimento dei Focolari giovanissima, a 14 anni. È stata la scoperta della mia vita: Chiara Lubich invitava anche me a “vivere” la vita del Vangelo. Ho capito che non dovevo cambiare le persone ma il mio cuore, che l’altro è un dono per me e io posso essere un dono per l’altro. Vengo dalla Galilea da sempre terra di conflitti. Quando ho conosciuto la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich ho capito che potevo amare tutti, palestinesi e israeliani, rispettando la loro storia, soprattutto facendo mio il loro dolore e creando spazi di dialogo e di fiducia reciproca per costruire ponti.

In Terra Santa, a cosa bisogna soprattutto lavorare perché si realizzi una vera pace?
Il cuore degli uomini lo può cambiare solo Dio e la pace è un suo dono. Quindi dobbiamo chiederla a Lui e continuare a lavorare per costruirla, nel quotidiano, nei gesti più piccoli, con chi ci vive accanto. E penso che possiamo essere sempre più accoglienti, accettare l’altro che é diverso, di un’altra religione, di un’altra cultura. Credo nella forza della preghiera perché l’ho vista in azione molte volte, come l’8 giugno 2014, quando papa Francesco volle quello straordinario momento che è stato “l’invocazione per la pace” in Terra Santa. Un’esperienza fortissima. Un punto luminoso al quale guardare, perché – come ha detto il custode di Terra Santa – la preghiera non é una cosa che produce qualcosa, la preghiera genera.

Lei sottolinea l’importanza del dialogo che parte dal basso, dai rapporti interpersonali.
Sono nata ad Haifa e, come dicevo, la mia è una terra di conflitti. Ma lì hanno sempre convissuto insieme e in pace ebrei, musulmani, cristiani, drusi e baha’i. Fin da piccola ho frequentato la scuola cristiana-cattolica nella mia città, dove eravamo tutti arabi: metà cristiani e metà musulmani. Siamo cresciuti insieme. Ricordo un episodio. Quando avevo cinque anni giocavo come tutti i bambini nel cortile di casa. I nostri vicini erano ebrei. Per la tensione che c’era nel paese, quando ci vedevano, ci insultavano. Una volta sono tornata a casa piangendo. Mia madre mi ha detto: “Adesso asciugati le lacrime e vai fuori, chiama questi bambini e invitali a casa nostra”. Io l’ho fatto solo per ubbidirle. Sono venuti e la mamma ha offerto loro il pane arabo che stava cuocendo dandone a ognuno per le proprie famiglie. Questo gesto ha fatto sì che, il giorno dopo, i genitori di quei bambini si avvicinassero, fino a conoscerci. Da quel piccolo gesto ho imparato una lezione per tutta la vita: che l’amore caccia l’odio e che, se io avessi voluto cambiare la società, avrei dovuto imparare ad andare al di là dei miei sentimenti e amare quel prossimo che Dio mi metteva accanto. Una frase di Chiara Lubich che mi accompagna sempre è: “Nessuna anima vi sfiori invano”.

L'incontro di papa Francesco con il Movimento dei Focolari il 6 febbraio 2021 - Ansa

La pandemia ha allargato le distanze sociali, creato nuove spaccature. Su cosa lavorare per ricucire gli strappi?
È vero ha allargato le distanze e ha evidenziato - e forse rafforzato - spaccature già esistenti creando nuove forme di disuguaglianza. Ma è altrettanto vero che ha messo in moto tanta fantasia e creatività nel trovare nuove forme per stabilire e vivere le relazioni. Mi fanno una grande impressioni gli innumerevoli esempi che continuamente mi arrivano da persone del nostro Movimento in tutto il mondo, che nel quotidiano cercano di affrontare le sfide portate dalla pandemia, ravvivando i loro rapporti e creando anche contatti nuovi con chi magari è rimasto da solo. Vale la pena mettere in luce questi esempi, per rafforzare e diffondere il “virus” della fraternità.

Nell’udienza alla vostra Assemblea generale il Papa il 6 febbraio scorso ha parlato della crisi come di un’opportunità. Come fare perché non si traduca in conflitto?
In un certo senso il Papa stesso ci ha dato la risposta. «Ogni crisi è una chiamata a nuova maturità», ha detto. E ha aggiunto che la crisi «è un tempo dello Spirito, che suscita l’esigenza di operare un aggiornamento, senza scoraggiarsi davanti alla complessità umana e alle sue contraddizioni». Io lo tradurrei in tre passi: innanzitutto riconoscere una crisi come tale, accogliendola senza spaventarsi. Poi aprire gli occhi, le orecchie e soprattutto i sensi dell’anima per cogliere la voce delle Spirito Santo che parla attraverso la crisi. E infine avere la pazienza di non volerla superare troppo presto per uscirne fuori più umili e più umani nel vero senso della parola!

Il Papa vi ha messo anche in guardia dal pericolo dell’autoreferenzialità, dal rischio di costruire per così dire una piccola chiesa dentro la Chiesa.
Il pericolo che un gruppo carismatico si trasformi in una realtà settaria c’è. Esempi tristi, purtroppo, non ne mancano. Ma il vero pericolo, secondo me, è molto più sottile e perciò anche non sempre facile da affrontare. Mi spiego: a tutti i movimenti nella Chiesa, a tutti i gruppi carismatici, è stato affidato dallo Spirito Santo un dono, un carisma, per il bene della Chiesa e dell’umanità. Questo dono - per la logica dello Spirito Santo che non si ripete mai - è sempre una novità assoluta che lascia, in coloro a cui è stato donato, necessariamente un senso di predilezione e di responsabilità per conservarlo e tramandarlo. Il pericolo nasce quando la struttura, l’organismo, si indentifica troppo col carisma, quando - per dirla con le parole di san Paolo - il “vaso di creta” pensa di essere il ”tesoro” che vi è contenuto (cf. 2 Cor 4,7-15). Il rimedio sta nella capacità di mettersi in discussione, di chiedersi continuamente, se il vaso di creta ha ancora la forma e la misura giusta per contenere il tesoro e metterlo a disposizione della Chiesa e dell’umanità. Un’altra soluzione è quella di collaborare con altri carismi, antichi e nuovi, con altri movimenti ecclesiali e nuove comunità per essere insieme un dono alla Chiesa universale.

Quali le priorità nel suo programma di presidenza?
Certamente le indicazioni che il Papa ci ha dato sono già un vero programma del quale vogliamo fare tesoro con tutto il cuore e tutte le nostre forze. E poi vorrei che il mio mandato alla presidenza dei Focolari fosse caratterizzato da questa frase di Chiara Lubich: «Siate sempre una famiglia». Se abbiamo questo spirito, che vuol dire avere il calore, l’attenzione, lo sguardo che si ha tra fratelli e sorelle, ameremo chiunque incontriamo. E sarà carità vera. E questo senso di famiglia ci aiuterà anche a sviluppare di più uno stile di governo partecipativo e sinodale affinché il Movimento non sia governato da una persona o due - la presidente e il copresidente - ma dalla presenza di Gesù fra persone che si amano a vicenda, pronte a dare la vita l’una per l’altra.

Per statuto il Movimento dei Focolari deve avere una presidente donna. Da più parti si sottolinea come nella Chiesa sia finalmente venuto il tempo di una maggiore presenza femminile, non solo di facciata ma in ruoli che contano. Soprattutto il Papa sollecita a impegnarsi in questo senso.
Penso che la soluzione non stia nè In un’uguaglianza di ruoli, né in una parità numerica ma nel creare gli spazi dove noi donne possiamo dare sempre meglio il nostro tipico e specifico contributo. Sono nata nella terra di Maria, e penso cha abbiamo ancora tanto da imparare dalla donna più grande nella storia dell’umanità. Penso che sia giusto che ci impegniamo su tutti i livelli per dare anche alle donne nella Chiesa dei posti di rilievo, come sta facendo in modo esemplare papa Francesco. E dobbiamo, direi, guardare a Maria come nostro modello nell’ascoltare, nell’accogliere e sopportare il dolore, qualsiasi esso sia, per creare spazi di dialogo, di incontro, di nuova creatività.