Agorà

Il veterano. Renga: «La mia anima ha bisogno di cantare»

Massimiliano Castellani inviato a Sanremo sabato 6 marzo 2021

Il cantautore Francesco Renga, 52 anni, al suo decimo Festival

Quella tra il Festival di Sanremo e Francesco Renga, il veterano dei cantautori in gara, è una lunga storia d’amore cominciata nel lontano 1991. L’anno in cui, giovane scapigliato, si presentò con il gruppo dei Timoria e vinsero la prima edizione del Premio della critica Mia Martini. «E andai a ritiralo da solo, perché gli altri non credendoci se ne erano già tornati a casa», attacca con la sua risata contagiosa da eterno ragazzo di provincia. Francesco allora aveva poco più di vent’anni, «l’età media dei cantanti che partecipano a questo Festival 2021», dice sorridendo ancora il cantautore bresciano, classe 1969, che nella serata dei duetti ha abbassato ancora la media del confronto personale presentandosi con la talentuosa Elisa Coclite, alias Casadilego. La vincitrice dell’ultimo X Factor «che ha 17 anni, come mia figlia Jolanda» e con la quale ha cantato una cover da brividi di Una ragione di più. Testo dei celebrati Califano e Vanoni (ospite stasera del Festival con Gabbani), musica del sempre troppo bistrattato Mino Reitano. «Infatti lo vado ripetendo in continuazione quanto Mino Reitano sia stato sottovalutato... Forse perché era una persona troppo buona e nel nostro ambiente, si sa, una volta che ti hanno etichettato è finita».

L’etichetta di Renga è quella della bella voce, ma antidivo: il bravo cantautore, il papà di Jolanda e Leonardo, che non dà mai scandalo.

Non conosco un altro linguaggio e altre strade che non portino alla mia musica. E ogni volta che vengo a Sanremo è perché scatta quel momento unico in cui ho l’urgenza di comunicare ciò che sente la mia anima, esprimere questo tempo che mi attraversa e che attraverso senza smettere mai di camminare...

Nella canzone che presenta al Festival, Quando trovo te, dice infatti «la mia testa non ne vuole sapere di stare ferma e io continuo a camminare».

È un testo che è nato in piena pandemia. Stavo traslocando e nella casa nuova, nei giorni in cui non si poteva uscire per la zona rossa – che è tornata purtroppo – , man mano che aprivo gli scatoloni sono venute fuori tante cose del passato: libri, monete, foto dei miei figli piccoli e dei miei genitori che non ci sono più... E stato come esplorare, andare a fondo nel concetto di oblio salvifico: dimenticare ciò che ti ha lacerato dentro per riuscire ad andare avanti. Ma al contempo ricordare i momenti belli e rassicuranti, come l’odore del ragù che cucinava mia mamma Jolanda alla domenica e quelle storie e gli incontri di ieri che riaffiorando fanno ancora bene all’anima.

Sono pochi minuti che parliamo e la parola anima è già comparsa diverse volte...

È il frutto di una educazione cattolica ricevuta in casa. E grazie a questo, in prima liceo mi ingraziai il Prof. di filosofia che si presentò con un minaccioso «vi prometto lacrime e sangue» e poi chiese «chi di voi sa l’Atto di dolore? ». Ero l’unico a saperlo a memoria, perché mio padre tutte le sere tornato dal lavoro (maresciallo della guardia di finanza) entrava in camera e a me e mia sorella gemella Paola ce lo insegnava. Lo rivedo ancora papà: si inginocchiava davanti ai nostri letti e pregavamo tutti e tre insieme...

Forza della famiglia unita: ma come accadde in casa De Gregori il cantante che doveva sfondare era suo fratello maggiore (Luigi), poi invece anche in casa Renga a farcela è stato il minore, e un altro Francesco...

Ho cominciato a cantare al al cinema Pace di Brescia dove negli anni ’80 organizzavano una specie di talent per noi liceali. Una gara in cui i compagni di classe facevano il tifo per me. Poi, una sera nel gruppo in cui mio fratello Stefano suonava musica rock, le cover dei Genesis per capirci, mi chiese di provare... Sentendo la mia voce amplificata è come se avessi avuto una folgorazione. In quell’istante ho capito che era solo in quel modo che avrei potuto raccontare ciò che avevo dentro e trasmetterlo al maggior numero di persone.

Migliaia di fedelissimi e di dischi venduti, tour trionfali e qui la vittoria del Festival del 2005 con Angelo (dedicato alla figlia Jolanda appena nata). E ora, Quando trovo te.

Il brano più difficile dei miei Festival (il 10°, nove da solista). Le 2 ottave e mezza di estensione mi costringono a un esercizio ginnico per la mia vocalità da tenore drammatico. E la cosa più dura è riuscire a rendere questa canzone semplice all’ascolto.

Il riscontro del pubblico è positivo, come coraggioso è stato il cambio di registro rispetto alle ultime proposte che sembra preludere a un 'nuovo' Renga.

È una canzone diversa perché contiene tutti i miei mondi, quello che sono stato e anche quello che sarò. Perciò chi mi segue dagli inizi ci ritroverà qualcosa degli anni dei Timoria, i primi lavori da solista fino ad oggi. Ma è una scrittura che guarda molto al presente.

Un presente in cui i più penalizzati, come ha detto Fiorello, «sono i nostri figli», condannati dal virus a un quotidiano da reclusi tra le quattro mure domestiche.

Condivido con Fiorello questa enorme tristezza. I ricordi più belli e gli amici di sempre che vedo ancora sono quelli del liceo. Una stagione speciale che in questo momento, specie a Leonardo che ha 14 anni, viene preclusa da un lockdown senza fine. Quello che mi preoccupa sono le conseguenze di questo tempo malato, spero e prego solo che non lasci delle tracce indelebili...

Salutiamoci con ottimismo e guardiamo a un futuro con teatri e stadi aperti. Possibile un altro tour come quello fortunato con Nek e Max Pezzali?

Ripartirei anche domani con loro due, Nek e Max sono amici a cui voglio bene e artisti che stimo tantissimo. In quel tour ho avuto la conferma che nella musica come nella vita nessuno ce la fa mai da da solo, ma c’è sempre bisogno di qualcuno che ti stia vicino, che ti sostenga e ti rispetti. E poi io amo esibirmi in gruppo, sono solista per necessità, ma è da quindici anni che vado in tour con la stesa band.