Agorà

Intervista a Ron. «Dalla malattia ho imparato a cantare la vita»

Andrea Pedrinelli lunedì 17 agosto 2009
Questa è una storia diversa dalle solite. Anche qui c’è un artista, il cantautore Ron, che ripensa i modi della propria ar­te a fronte di una crisi. Ed anche Ron, come taluni suoi colleghi, possiede talenti ed u­miltà bastanti per fargli provare a spingersi ol­tre i limiti del pop. Già negli anni Settanta del resto Ron fu attore, pure con registi come Mon­taldo o Magni, ed ha appena girato l’Italia co­me interprete di prosa in un tour in cui andava ben oltre la 'normalità' delle canzoni. Ma la crisi da cui nasce l’odierno desiderio di Ron di staccarsi dalle finzioni del pop non è la crisi del­la discografia. La scelta di Ron di cambiare mo­tivi e prospettive del suo pop d’autore gli è in­fatti arrivata addosso dalla vita, quando l’ami­co fraterno Mario Melazzini gli disse di avere la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, malattia de­generativa da cui non si guarisce. Allora, era il 2005, Ron si fermò. E quando ripartì era un al­tro. «Non so se augurare ad altri quanto suc­cesse a me, è sofferenza. Però senza quella tra­gedia non saprei la fortuna di vivere né come fare il mio mestiere con un senso. Vedo troppa gente che ha tutto ed è infelice. Ecco, un’espe­rienza di vita vissuta come quella che ho speri­mentato io può far capire molte cose». Ron, iniziamo dal principio. Da quella telefo­nata di Melazzini, oggi Presidente dell’Aisla, Associazione che raccoglie fondi per la ricer­ca contro la Sla. «Quando mi disse cos’aveva per me fu imme­diato scegliere di fermarmi. I miei genitori mi hanno insegnato l’importanza del 'prendersi carico' di chi ha bisogno, non ho pensato al successo che potevo perdere, ai progetti in es­sere. Mi sono messo a disposizione di Mario in toto». Dopo un po’ però iniziò a lavorare a un disco di suoi capolavori in duetto, edito solo per aiu­tare l’Aisla. «Su idea di Mario. E convinto davvero soltanto dall’aver toccato con mano la tragedia della ma­lattia e le difficoltà delle famiglie. Solo lì mi dis­si che magari potevo aiutare davvero anche col mio lavoro». Così ha chiamato, lei, Baglioni, Zero, Carboni, Dalla, Jovanotti, Elisa, Consoli… «Ed accettarono quasi tutti. Il problema furo­no i discografici. Dissero che i duetti non fun­zionavano… Lì capii in anticipo il declino di un’industria senza più cuore. Ringrazierò sem­pre Ferdinando Salzano, responsabile di un’a­genzia di musica dal vivo. Produsse lui il cd per le edicole». Ma a lei non bastò. E lo portò a Sanremo. «Non aveva senso non trovarlo nei negozi: né per lo scopo né dal punto di vista artistico. E l’industria, col 'contentino' di Ron a Sanremo, lo distribuì. Inoltre Panariello all’Ariston mi con­sentì di parlare dell’Aisla a milioni di persone. Alla fine abbiamo raccolto 150mila euro, e fat­to conoscere la Sla». E lei proseguì, sposando anche altre cause. Per­ché? «Non tutte le battaglie di solidarietà sono faci­li, ad esempio non riuscii a trasformare quel di­sco di duetti in show benefico: a volte c’è diffi­denza. Però, come ho visto denunciando quan­to sia grave il problema mondiale della caren­za d’acqua, se anche su cento persone ti ri­spondono solo in venti, vale. La società inizia pian piano a capire i problemi e, nel caso delle malattie, i malati si sentono meno soli. Ogni anno organizzo un concerto contro la Sla: que­st’anno l’ho fatto a Vicenza, ed ancora sono ve­nuti colleghi. Minghi, Ricciarelli, Jury…». Capiscono proprio sempre? Neppure quando lei a teatro ha portato in scena Melazzini, l’han­no criticata? «Mai. Lui parlava di malattie incurabili, di di­ritto alla vita: temi forti trattati con serietà, e nessuno in nessun teatro ha avuto reazioni ne­gative ». Dopo quello stop lei è però tornato anche alla sua musica. Concependola in modo quanto diverso da prima? «Totalmente. Il ritorno coincise con la crisi del­l’industria, ma l’esperienza della malattia di Mario mi ha insegnato a guardare cose diverse dai numeri. Ho capito che sono più credibile di quanto pensi, stanti le reazioni alle mie inizia­tive di colleghi e pubblico, e quindi non ha sen­so accettare compromessi. E che questo me­stiere ha senso solo se fai diventare la tua mu­sica adulta quanto la vita ha obbligato te a di­ventarlo. Vede, io avrò anche aiutato Mario, però Mario ha aiutato me. Non ultimo, spronando­mi a ricominciare a scrivere sapendo che è an­che un dovere, il poter parlare agli altri pure di tutto quello che la vita ti ha costretto a capire».