“Mother”, i dilemmi della giovane Madre Teresa tra intuizioni e scivoloni
La regista Teona Strugar Mitevska immagina sette giorni cruciali della futura santa, sconvolti dalla maternità di una consorella. Ma il film non si decide tra dramma spirituale e thriller conventuale

Una ribelle prima che una santa, una donna volitiva e contraddittoria, una guerriera tra i poveri e una religiosa appassionata, ma tormentata dai dubbi. È una figura contemporanea la Madre Teresa di Calcutta raccontata dalla regista macedone Teona Strugar Mitevska in Mother, film che ha aperto la sezione Orizzonti alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia e che arriverà nelle sale italiane a dicembre, distribuito da Adler.
Mother è un’opera anomala: racconta il momento cruciale in cui la futura Madre Teresa decide di lasciare il convento per dedicarsi alla sua missione tra i poveri di Calcutta. Ma il film non si limita al biopic: affronta temi complessi con toni spesso spiazzanti, mescolando dramma spirituale, melodramma e addirittura venature gotiche, con una colonna sonora hard rock a fare da contrappunto. Visivamente interessante, il film è sorretto da un’intensa interpretazione di Noomi Rapace, che regala al personaggio un'umanità sofferta e intensa.
Siamo nel 1948. Madre Teresa, al secolo Anjeze Gonxhe Bojaxhiu, è superiora nel convento delle Suore di Loreto a Calcutta. Seguiamo sette giorni decisivi nella sua vita: la richiesta al Vaticano per lasciare il convento e iniziare la sua opera missionaria, primo passo verso la fondazione delle Missionarie della Carità, due anni dopo. La vediamo lavorare instancabilmente negli slum, curare i malati, sfidare la burocrazia ecclesiastica e l’indifferenza, consumata da dubbi e senso di fallimento. Quando cerca di far partorire una donna in condizioni disperate e il neonato muore, esplode: «Sono stanca di vedere bambini morire, è un orrore».
È in questo contesto che il film introduce un tema scottante, l’aborto, intrecciando realtà e, scivolosa, finzione. Teresa, notoriamente contraria in modo assoluto (nel 1979, ricevendo il Nobel per la Pace, definì l’aborto «una guerra»), si trova a dover affrontare il caso di Agnieszka (Silvia Hoeks), la suora che avrebbe dovuto prendere il suo posto come superiora. Agnieszka è incinta e, pur di non ostacolare la missione di Teresa con uno scandalo, è pronta ad abortire. Si apre così un conflitto morale profondo tra le due donne, che coinvolge temi di fede, maternità, ambizione, quasi fossero le due facce della stessa persona.
Teona Strugar Mitevska ha lavorato a lungo su questo progetto, desiderosa di restituire la complessità di Madre Teresa, albanese nata a Skopje (oggi capitale della Macedonia del Nord). Un tentativo da una parte intrigante, ma non esente da ambiguità. La regista spiega: «Come donna, credo che il diritto al corpo e alla scelta sia sacro. Ma raccontare anche questo tema nel film è stato un modo per comprendere il pensiero di Madre Teresa nella prospettiva del tempo. Oggi viviamo in un’epoca pericolosa, in cui questo diritto è sempre più messo in discussione». Se la regista a parole cerca di giustificare le posizioni di Madre Teresa come frutto della mentalità dell’epoca, è lo stesso film che sembra smentire questa lettura: Agnieszka non vuole davvero abortire, desidera diventare madre nonostante lo stigma e la rinuncia alla vita religiosa. E la stessa Teresa, pur tormentata (nel confessionale si sente rispondere dal sacerdote che «l’aborto è un peccato solo se una donna è costretta a subirlo», irrealistico se non ridicolo) ribadisce la sua contrarietà all’aborto «perché i figli sono una ricchezza, perché sono il futuro». Difficile darle torto.
Il film ha un ritmo serrato e cupo, si muove tra diversi generi, ma resta a volte sospeso tra il dramma spirituale e il thriller conventuale. Più che scavare nel carisma spirituale della futura santa, si concentra sul conflitto, lasciando sullo sfondo il bene concreto che Teresa ha compiuto. Solo nel finale, quando la vediamo nel suo iconico sari bianco e celeste, si intravede una luce, ma dura poco. L’intento dichiarato di evitare un ritratto devozionale è chiaro, ma resta il desiderio, da parte dello spettatore, di vedere più da vicino le opere e il pensiero che hanno reso Madre Teresa una figura così influente.
E la sua attualità, oggi, è innegabile. «Dietro all’icona, Madre Teresa era una persona – dice Mitevska – e questo significa che ciascuno di noi ha il potere di cambiare il mondo. Oggi, secondo me, sarebbe a Gaza, sotto le bombe, a prendersi cura dei palestinesi». La regista ha già dedicato un documentario alla religiosa e ha parlato con molte suore dell’ordine da lei fondato. Ha anche firmato la lettera aperta Venice4Palestine.
Anche Noomi Rapace è rimasta affascinata da Madre Teresa: «Mi hanno colpito le sue ombre, il dolore, la fatica di respirare, le sue fratture interiori. È qualcosa che ho riconosciuto in altri personaggi, ma anche in me stessa». Per l’attrice, «Madre Teresa era una ribelle. Basta guardare ciò che ha realizzato, da donna in un mondo di uomini. A suo modo era punk, in prima linea per qualcosa che non era mai stato fatto prima».
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