Da Sanremo al Cremlino, tutte le imprese di Beppe Vessicchio

È morto al San Camillo di Roma il celebre direttore d'orchestra, arrangiatore e volto televisivo. Con la sua bacchetta ha trasmesso passione a un popolo intero, diventando amico di un Paese (e un po' anche del nostro giornale)
November 8, 2025
Da Sanremo al Cremlino, tutte le imprese di Beppe Vessicchio
Beppe Vessicchio , morto oggi a Roma / Ansa
E adesso con chi parlerò più di musica e di vita? Penso egoisticamente appena appresa la ferale notizia: il mio, il nostro maestro Beppe Vessicchio si è spento improvvisamente. Se ne va per sempre un grande amico degli italiani. Un amico generoso e sincero di Avvenire: ci aveva appena onorati della sua presenza nella nostra Festa estiva a Grado. Una notte di musica e parole, vissuta assieme al direttore Marco Girardo, lasciandoci con la promessa di altri progetti da condividere per il futuro. Ma il tempo su questa terra per il nostro maestro finisce qui, a 69 anni. Una vita intera spesa per la sua più grande passione, assieme alla famiglia (la Enrica, la figlia Alessia e la nipote Teresa a cui va il nostro pensiero): la musica. «Faccio musica per la musica», amava ripetere con il sorriso sotto quella barba folta sale e pepe e il fedele papillon al collo che lo rendeva unico, inconfondibile: il nostro “Giuseppe Verdi” della musica leggera. Anche se chi lo ha conosciuto a fondo nel suo percorso artistico sa bene che Beppe Vessicchio era abitato dalla musica tutta, compresa la classica e quella da camera, che lo aveva portato ad eseguire la sua Tarantina alla Scala. La soddisfazione più grande della sua carriera quell’opera che gli aveva spalancato le porte del tempio della lirica. Ma per la cultura nazionalpopolare è scontato che il suo tempio era e rimarrà per sempre il Teatro Ariston di Sanremo.
Per oltre trent’anni, bacchetta alla mano, da quel podio dell’Ariston, con la complicità dell’Orchestra di Sanremo che adesso lo piange con noi, era riuscito a ipnotizzare un Paese intero. La sua apoteosi personale l’aveva raggiunta con i trionfi della Piccola Orchestra Avion Travel (con Sentimento, 2000), Alexia (Per dire di no, 2003), Valerio Scanu (Per tutte le volte, 2010) e infine con l’amico Roberto Vecchioni e la sua memorabile Chiamami ancora amore. Ma per questo filosofo della musica, napoletano, svezzato dal cabaret dei “Tre tre” («esperienza breve, ma che ha permesso a uno “stoccafisso” quale ero agli esordi di apprendere i trucchi del palco e il valore del sorriso che nella vita non deve mancare mai») affianco alle canzonette popolari ci sono sempre state anche le colonne sonore, l’attività concertistica e la composizione classica, come quella emozionante esecuzione rimasta unica della Tarantina con i Solisti della Scala. Un viaggiatore instancabile, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti e altrettante emozioni da regalare al pubblico.
Così nel 1990 la musica di Beppe Vessicchio era entrata al Cremlino per il concerto di Mosca alla memoria di John Lennon. Un ricordo che lo commuoveva ripensando «all’umanità profonda dei musicisti che costituivano l’Orchestra legata al ministero degli Esteri dell’Urss e alla grande povertà materiale di allora che avvalorava ancora di più la loro straordinaria generosità. In Ucraina non sono mai stato ma ho collaborato con tantissimi strumentisti provenienti da quella nazione, altrettanto generosi quanto i russi... Ora non c’è niente da fare: la voglia di potere è vincolata a doppio filo col denaro e ad avvantaggiarsene è l’industria bellica che innesca un processo distruttivo di tutti i valori che dovrebbero ispirare l’umanità». Riflessioni da osservatore attento e pacifista, che anche dal nostro palco di Grado aveva ribadito: «Io sono per il disarmo assoluto. Lo so, è utopico, ma l’utopia è l’obiettivo che non smarrisci, offrendoti la direzione verso la quale puntare. Quindi sono d’accordo con papa Francesco quando diceva: se ti ritrovi costretto a deviare, non perdere di vista l’obiettivo della pace, piuttosto perseguilo ad ogni costo».
In ogni guerra, una vittima su tre sono dei bambini. E anche con i più piccoli il maestro Vessicchio aveva stabilito un rapporto straordinario negli anni della direzione artistica dello Zecchino d’oro. «Il tema della canzone per l’infanzia mi sta molto a cuore. Quei piccoli sono il nostro proseguimento e dovrebbero ricevere più attenzioni formative e informative. Io mi sto adoperando per l’introduzione ufficiale della materia musica nell’istruzione primaria, cioè in uno dei momenti più fertili della crescita di un bimbo. Molti illustri cantautori inviano sempre più le loro canzoni allo Zecchino? Ben vengano i contributi di esperienza di questi autori affermati, non possono che migliorare lo scenario». Uno scenario che ha attraversato tuffandosi in ogni genere con la sua ironia e con quella profonda leggerezza che gli ha permesso di diventare “complice” a sorpresa degli apparentemente distanti Elio e le Storie Tese («all’ultima serata paventando la vittoria mi dissero che erano disperati , perché come altri grandi, Vasco, Zucchero, loro puntavano all’ultimo posto») al fratello di palco e d’impresa Roberto Vecchioni. «Se chiudo gli occhi, l’emozione più grande che ho vissuto a Sanremo è stata quella, dirigere Vecchioni con Chiamami ancora amore. Roberto venne “portato in cielo” da un tornado di voti telefonici… lui, cantautore vecchia scuola senza call-center, senza il vento in poppa soffiato dai talent, senza le spinte della discografia di potere. Il suo messaggio era così animato e puro da farsi musica e arrivare in maniera diretta, istintiva, direi addirittura precedendo l’insieme delle distinte parole. Quando poi le analizzi capisci ancora di più perché ti è piaciuta quella canzone».
Una canzone che è rimasta anche nella memoria di quei millennials conosciuti e giudicati nel talent Amici, invitandoli sempre «ad addestrare la propria tecnica neuromuscolare così come un atleta costruisce il suo percorso di saltatore, alzando periodicamente l’asticella e ingaggiando, innanzitutto, la gara con se stessi».. Insegnamenti di vita impartiti dall’ uomo di spettacolo che ha sempre guardato e creduto fortemente nel futuro, anche se con un pizzico di nostalgia confessava: «Personalmente non posso che guardare indietro e dire che la tv e i Festival di Pippo Baudo hanno rappresentato l’apice. Anche perché Baudo, a differenza dei suoi eredi pur bravi, usava la televisione e non viceversa veniva usato dal mezzo. Baudo è stato l’unico uomo di spettacolo capace di essere superiore al mezzo ospitante». Quella scia celestiale baudesca l’aveva ereditata anche il Maestro Vessicchio che continuava a curare la musica e a difenderla dai suoi mali, consapevole che quella che ascoltiamo e che ci propinano oggi sta vivendo «una lunga convalescenza dovuta alla frattura storica provocata dalla musica del ’900. La plastica negli ultimi 50 anni ha costruito un’isola artificiale nel Pacifico grande come la Spagna... La musica purtroppo è inquinata, come gran parte del pianeta in cui viviamo».
Nulla però è ancora perduto perché il suo «fare la musica per la musica» è la panacea da somministrare alle nuove generazioni che «possiamo recuperare attraverso la conoscenza e l’educazione la musica bella in senso greco, I giovani vanno guidati allo studio dello strumento nel loro periodo più fertile, quello che va dai 12 ai 18 anni. Quindi dobbiamo tornare a un “modello italiano” di conservatorio che noi abbiamo cancellato, mentre nel resto del mondo è stato copiato e con risultati eccezionali». Beppe Vessicchio ci ha lasciati con la provocazione, gentile e pacata come nel suo stile, questa missione da portare avanti, cercando di farlo come lui, da uomo di fede che tra le opere che ha più amato c’era la sua Missa pro Anima, «titolo “battezzato” da don Nunzio Galantino – raccontava orgoglioso - .La prima esecuzione con orchestra e coro è avvenuta a Pietrelcina, il paese natale di san Pio, un uomo speciale che ha attratto attorno a sé tante energie di bene e al quale sono da sempre devoto». Per questo e per molto altro, anche noi resteremo per sempre tuoi amici devoti. Addio maestro Vessicchio.

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