A Wimbledon è ancora Sinner vs Alcaraz. Ma dietro a loro c’è il vuoto
di Davide Re
Domani la finale sull'erba londinese, una replica di quella del Roland Garros. Quella tra i due appare ormai una sfida classica: ma il panorama generale sembra destinarla a una ripetizione infinit

Domani a Wimbledon andrà in scena l’ennesimo atto della rivalità che sta segnando il presente del tennis maschile e, con ogni probabilità, ne disegnerà anche il futuro. Jannik Sinner contro Carlos Alcaraz: un duello che si è trasformato in canovaccio, copione ricorrente di una narrazione che affascina ma che rischia presto di diventare monocorde. A soli 22 e 21 anni, l’italiano e lo spagnolo sono già il centro di gravità di uno sport che, alle loro spalle, fatica a rinnovarsi. In semifinale Alcaraz ha eliminato l’americano Taylor Fritz, mentre Sinner ha sconfitto Novak Djokovic, che ormai a 38 anni, seppur ancora competitivo, sembra ormai prossimo al ritiro.
Quella tra Sinner e Alcaraz sarà la tredicesima sfida in carriera tra i due, con un bilancio ad ora di 8 a 4 per lo spagnolo (che ha vinto gli ultimi 5 match), ma che vive di slanci e onde lunghe. Sono giovani, talentuosi, complementari nel gioco e opposti nel carattere: rigoroso e calcolatore Sinner, istintivo e teatrale Alcaraz. Il problema non è certo la qualità del loro tennis — altissima — ma ciò che manca intorno a loro: avversari credibili, capaci di spezzare l’egemonia nascente.
L’impressione è che il circuito maschile stia entrando in una nuova era bipolare, dopo il quadrumvirato Federer-Nadal-Djokovic-Murray. Ma se il dominio dei Fab Four si è retto su una competizione plurima, con equilibri mutevoli e scuole diverse, questa nuova fase sembra invece più povera, più stretta, più fragile. Perché oltre a Sinner e Alcaraz, c’è poco o nulla.
I russi, o i tennisti di origine russa, sembravano destinati a prendere in mano le redini del circuito. E invece non è stato così. Daniil Medvedev, campione alieno e analitico, sembra da tempo in un labirinto emotivo da cui non riesce a uscire. E sì che è stato numero uno al mondo e ha vinto degli slam. Andrej Rublev, talento indiscusso, è un caso psicologico più che tecnico: ha perso diverse in tornei Masters 1000, fatica nei match che contano, piange a fine partita, come se il campo fosse uno specchio della propria inquietudine interiore. Sasha Zverev, tedesco con sangue russo, è stato numero due del mondo, ma ha smarrito se stesso. La recente confessione pubblica di una depressione tenuta nascosta per anni spiega più di tante analisi: il talento c’è, ma manca la tenuta. Nei tornei dello Slam, a oggi, il suo bilancio è sconfortante. Tra l‘altro soffre di diabete e nonostante questa patologia è riuscito a compiere imprese che poi lo hanno in qualche modo fiaccato da un punto di vista psicologico. E infine c’è Stefanos Tsitsipas, greco per passaporto ma russo per madre e formazione tennistica. Il suo tennis è elegante, il suo ego smisurato, ma il rendimento si è appiattito. Vive di fiammate, mai di continuità. Lo ha detto anche il suo nuovo allenatore, ex di Djokovic, Goran Ivanisevic.
Dietro, il buio. Holger Rune, il danese che sembrava destinato a scalzare tutti con l’irruenza dei suoi 19 anni, ha cambiato più di dieci allenatori in due stagioni. Un segnale non di ricerca, ma di smarrimento. E i nuovi volti, da Joao Fonseca a Arthur Fils, hanno bisogno di tempo. Talento ce n’è, ma ancora acerbo, scollegato, incapace per ora di trasformarsi in minaccia reale per i due dominatori.
Così Wimbledon, che un tempo era il torneo delle sorprese e delle leggende, rischia di consegnarci una finale già vista e, se non cambia qualcosa, destinata a ripetersi all’infinito. Perché dietro Carlos e Jannik c’è un vuoto tecnico e mentale che preoccupa più dei loro colpi vincenti.
È un paradosso del tennis contemporaneo: mai così giovane, mai così chiuso. Le rivalità, per essere epiche, hanno bisogno di varietà. Di chi ribalta quel destino già noto. Borg-McEnroe, Sampras-Agassi, Federer-Nadal-Djokovic-Murray: ogni generazione ha avuto i suoi triangoli o quartetti, i suoi contrasti di stile e personalità. Anche perché dietro c’era sempre qualcuno che poteva regalare la sorpresa: Pat Cash a Wimbledon contro Ivan Lendl, Boris Becker, Gustavo Kuerten. Qui, invece, lo scenario sembra già scritto. Non mancano i colpi, manca il contesto.
Sinner e Alcaraz non sono colpevoli, anzi. Il loro impegno, la loro professionalità, la qualità del loro tennis sono da manuale. Ma un duello ripetuto troppe volte, alla fine annoia. Oggi sarà spettacolo, certo. Perché l’erba di Wimbledon esalta i contrasti: il servizio chirurgico di Sinner, il gioco in pressione di Alcaraz, i passanti improvvisi, la battaglia mentale punto su punto. Ma sarà anche un nuovo segnale, forse definitivo, che dietro quei due ragazzi, non c’è ancora nessuno pronto a spezzare il duopolio. E allora il tennis maschile del futuro sarà forse bellissimo, ma rischia di essere anche noiosamente prevedibile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






