venerdì 24 agosto 2018
Lo Squalo azzurro al via del Giro di Spagna dopo la frattura al Tour: «Voglio vincere almeno una tappa e puntare al Mondiale. Sarei potuto restare su una sedia a rotelle. Decisiva la mia famiglia»
Il siciliano Vincenzo Nibali, 33 anni, torna a gareggiare in occasione del Giro di Spagna (Ansa)

Il siciliano Vincenzo Nibali, 33 anni, torna a gareggiare in occasione del Giro di Spagna (Ansa)

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Parte con il numero 1 sulla schiena, ma questa volta Vincenzo Nibali si affiderà più alle sensazioni che ai numeri. Più a trovare la condizione giusta, che le condizioni per vincere una corsa che è impossibile vincere. «Vado in Spagna per onorare una corsa che ho vinto nel 2010, e che un anno fa (secondo alle spalle di Froome) mi ha visto protagonista - spiega il siciliano -. La frattura alla vertebra rimediata al Tour mi ha complicato tutto. Ho temuto di aver terminato anzitempo la stagione, ma poi abbiamo trovato una strada, e ora c’è solo da pedalare».

Pedalare per trovare una condizione che l’ha fatto tornare al mese di gennaio. Pedalare per provare ad essere in condizione il 30 settembre prossimo, quando a Innsbruck sarà messa in palio la maglia iridata su un percorso particolarmente duro ed esigente. «Mi sono sottoposto ad una operazione alla vertebra proprio per questo spiega l’uomo dalla “tripla corona” -: ridurre i tempi di recupero. Velocizzare il ritorno agonistico per provare ad essere in condizione a Innsbruck. Si parte da Malaga con una cronometro individuale di 8 chilometri: è chiaro che correrò senza grandi ambizioni. Vivrò alla giornata, anche perché in testa e nel cuore ho altro».

Assenti Geraint Thomas e l’ultimo vincitore Chris Froome, gli organizzatori hanno deciso di onorarla con il numero 1.

«E di questo sono felice e li ringrazio. È un gesto di grande sensibilità che, in ogni caso, mi responsabilizza a fare bene. Mi piacerebbe almeno vincere una tappa. Ecco, vorrei chiudere in crescendo questa corsa, puntando almeno ad una vittoria di tappa».

È passato poco più di un mese dall’infortunio che l’ha costretta a lasciare il Tour. Adesso come si sente?

«Intanto felice di essere al via domani, perché non era assolutamente scontato, anzi. E poi ripartire dalla Vuelta dove nel 2010 ho vinto il mio primo Grande Giro della carriera (poi due Giri e un Tour) mi fa piacere. I percorsi sono belli e sento meno pressione alla Vuelta rispetto al Giro e al Tour».

Che tipo di corsa sarà?

«Francamente non lo so, cerco risposte, non fatemi tante domande. So che si parte da Malaga, con una crono individuale. Poi so che come sempre sarà una corsa dura, ma io sono qui per testarmi, per svolgere un buon lavoro, per provare a ritrovare confidenza con la bici e con il gruppo. Sarà certamente una corsa dura, perché sono in tanti quelli delusi che vogliono prendersi una parziale rivincita. Ci sarà Fabio (Aru), che al Giro ha vissuto giorni di grande difficoltà e torna anche lui sulle strade di Spagna con la voglia di far bene. E sono convinto che ci riuscirà».

Avrà quindi il ruolo di regista in corsa, con Ion Izagirre, al debutto nel giro di Spagna, che sarà affiancato dal fratello Gorka, e poi da Pellizotti, Cortina, Pibernik, Pernsteiner e Padun.

«Siamo una buona squadra, e siamo attrezzati per raccogliere qualcosa di buono»

Timori per l’operazione alla schiena?

«Come è normale che sia, ma c’era uno staff di medici che mi ha molto rassicurato. E immediatamente dopo l’operazione ho avvertito subito benefici. Io lo ripeto, penserò solo ad una tappa per volta. Spero di sentirmi sempre meglio, come in questi giorni mi è capitato. Ma un conto è allenarsi, un altro è correre un Grande Giro come la Vuelta».

In questo ultimo periodo quale è stato il pensiero ricorrente?

«Guarirò? E mai come in questa occasione mi sono stati di conforto e aiuto mia moglie Rachele e la mia bimba (Emma Vittoria)».

Questo mese di agosto non è stato assolutamente semplice, neanche dal punto di vista famigliare.

«È venuto a mancare Vincenzo, il mio nonno, al quale ero molto legato. Sono stato tre giorni in Sicilia per i funerali. È lì, sulle strade di casa, che sono risalito per la prima volta in bicicletta dopo l’operazione. Forse anche questo non è un caso».

Da quel dannato giorno di luglio sulle strade del Tour, si è trovato a parlarne più volte: il ciclismo sta diventando troppo pericoloso, anche e soprattutto per un tifo sempre più eccessivo e invasivo.

«Al Tour sembrava di essere al circo. Va bene il calore degli appassionati, la passione, la partecipazione, ma così non va assolutamente bene. Ragazzi in mezzo alla strada, il più delle volte eccitati da alcool e quant’altro. Con bandiere, campanacci, fumogeni… In quei giorni al Tour ne abbiamo viste davvero di tutti i colori. Voi non potete immaginare quello a cui è stato sottoposto Chris (Froome): situazioni folli. Ho pensato e ripensato al mio incidente. Io che finisco per terra in mezzo a fumogeni e spettatori scalamanati, senza neanche capire bene come. E poi, con quella botta alla schiena, un tifoso che mi solleva di peso con un dolore tremendo alla schiena. Un gesto di buon cuore che si poteva rivelare drammatico. Ho rischiato davvero grosso, potevo finire su una sedia a rotelle, invece grazie a Dio e a una serie di medici bravissimi, sono qui pronto a ripartire. La strada è da Malaga a Madrid, ma io voglio arrivare a Innsbruck. Nel miglior modo possibile».

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