sabato 5 dicembre 2015
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Avolte la più romantica storia del calcio si ferma, come al «King Power Stadium» di Leicester, nel Regno Unito, il 28 novembre scorso, al minuto 24 della partitissima di Premier contro il Manchester United, per l’undicesima rete in undici partite consecutive (14ª in totale) di Jamie Vardy. Il bomber del Leicester del sor Claudio Ranieri, “mister 11 gol in 11 partite”, è il nuovo recordman della Premier League: consacrazione di una straordinaria parabola di vita, ai limiti della realtà sportiva. Se qualcuno lo avesse anche solo sussurrato fino a qualche anno fa, forse nessuno tra tifosi e presunti intenditori gli avrebbe negato qualche scapaccione pensando ad un’evidente presa in giro: per capirne il motivo, è necessario addentrarci nell’entroterra inglese, nella piccola città industriale di Sheffield, dove Vardy è cresciuto e nato ventotto anni fa. Promessa del calcio locale, a 15 anni gioca nelle giovanili del suo Sheffield Wednesday, storica squadra di Premier League, ma già l’anno successivo è escluso ai provini, perché ancora troppo basso. Al «punto più basso della carriera », come Jamie lo definirà ai colleghi del Leicester Mercury, segue uno stop di otto mesi, durante il quale si iscrive al college e contemporaneamente inizia a lavorare come operaio in un’azienda locale che produceva protesi in fibra di carbonio. Ma il richiamo del calcio è irresistibile: eccolo provarsi con lo Stocksbridge Park Steels, rappresentativa calcistica dei dipendenti della British Steel, compagnia siderurgica britannica, dove dal 2007 al 2010 inanella 66 reti in una serie che, per provare un’ardita corrispondenza, equivale alla Prima categoria italiana (terzo gradino della nostra Lega Dilettanti). Carattere difficile, ma già noto per un cuore grande, è in questo periodo che si infila in una rissa in difesa di un amico preso in giro per l’apparecchio acustico. «Non attaccò rissa per primo, ma fu lui a concluderla», ha dichiarato Allen Bethel, proprietario dello Stocksbridge: Vardy fu condannato per violenza, per sei mesi costretto a rimanere in casa dalle 18 alle 6 del mattino, con tanto di cavigliera elettronica. «Ero in gra- do lo stesso di giocare a calcio – ricorda Jamie – ma in un paio di occasioni mi toccò scappare fuori dal campo e andare direttamente a casa per evitare di violare il coprifuoco. Mi accompagnavano i miei genitori. Se le partite in trasferta erano troppo lontane, potevo giocare solo un’ora: dovevo sperare fossimo in vantaggio, lasciare il campo e tornare in tutta fretta. La cavigliera non c’era modo di spezzarla: potevi colpirla con un martello e non si rompeva. Era indistruttibile». Acquistato quindi dallo Halifax, squadra dilettanti superiore, nel 2010 per 15mila sterline, realizza 29 gol in 41 partite, meritandosi l’anno successivo l’ingaggio del Fleetwood Town, squadra della massima lega dilettantistica, che paga ben 150mila sterline per il suo cartellino, cifra altissima per il settore. È nel 2011, appena quattro anni fa, che Vardy può così permettersi di lasciare la fabbrica per mettersi agli ordini di mister Andrew Pilley, che ricorda: «Era ridicolamente veloce, facendolo giocare mi sembrava di barare». Non a caso, dopo un’eccellente stagione da 34 gol in 40 partite, nel 2012 viene comprato dal Leicester City, seconda divisione, per un milione di sterline, cifra più alta mai pagata per un giocatore dilettante inglese. «Finora ha segnato contro elettricisti, idraulici e postini. Può fare lo stesso contro atleti professionisti?», si domandavano tifosi e addetti ai lavori. La prima stagione al Leicester City vede in effetti Vardy andare a segno solo 5 volte in 29 partite, ma l’allenatore Nigel Pearson rifiuta l’idea della società di mandarlo in prestito: nella stagione 2013-2014 Vardy ripaga la scelta con 16 gol, valevoli la promozione del Leicester City in Premier League, mantenuta con il cuore nella scorsa stagione anche grazie al suo buon rendimento che, pur traducendosi in soli 5 gol, gli apre le porte della nazionale di Sua Maestà britannica, dove esordisce il 7 giugno 2015 sostituendo un totem come Wayne Rooney.  Dal 28 novembre Jamie è l’idolo di tanti ceti popolari cui è negato ancora spesso sognare non solo condizioni economiche dignitose ma anche la semplice partita in quei magnifici templi del calcio inglese che lo stesso Jamie ora impreziosisce d’orgoglio. Nella sua corsa portentosa sembrano muoversi sorprendentemente le volontà di rivalsa spesso tradite di tante periferie dimenticate, scartate come lo fu lui, poi arrampicatosi rabbiosamente dalle pendici della sua più grande passione. Il suo sogno è l’apertura di “V9”, dall’iniziale del cognome e del numero di maglia: una sorta di accademia del calcio per dare la possibilità a decine di giocatori dilettanti di allenarsi per un anno con allenatori e preparatori di alto livello, nella speranza che in futuro riescano a giocare da professionisti, perché «là fuori ci sono diversi calciatori nella stessa posizione in cui ero io che hanno solo bisogno di un’opportunità – spiega –. In fabbrica era massacrante: sollevavo centinaia di pesi e il calore dei forni mi bruciava la pelle». La corsa da sogno di Jamie, capace di raggiungere picchi di 35 km orari, ora può tradursi in volo: se oggi andasse a segno in casa dello Swansea City, batterebbe il record assoluto di goleador in 12 partite consecutive detenuto dall’irlandese Jimmy Dunne, il quale con la maglia dello Sheffield United andò in gol per dodici turni consecutivi nel campionato 1931-32 quando ancora la Premier non esisteva e la massima divisione si chiamava First Division; all’orizzonte c’è poi un clamoroso campionato in ballo, la classifica dei cannonieri e il sogno degli Europei estivi 2016. «Ma tu non la smetti proprio mai di correre? », gli ha chiesto lo “Special One” Josè Mourinho dopo una gara contro il suo Chelsea lo scorso aprile. Se permette mister, la risposta vorremmo poterla dare noi: Jamie non può smettere, ora corre per tutti noi.
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