martedì 9 novembre 2021
La IA è diventata un’etichetta da applicare a ogni categoria merceologica. Però il vero prodotto è l’accidia critica dei consumatori
Una legione di intelligenze artificiali. Ma quella vera è inaccessibile ai più

Markus Spiske / Unsplash

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A proposito di intelligenza artificiale giorno dopo giorno si va consolidando una semplificazione che è tanto fuori strada quanto progressivamente sempre più ancorata al mondo delle certezze di cui la società-social si dota unicamente per non implodere dentro un vuoto generale di indagine autentica e personale. In omaggio indulgente al piacere della riflessione, a riguardo del tema di oggi mi viene in mente il passo evangelico dove il demone che sembrava affliggere un uomo avrebbe risposto alla interrogazione del Cristo definendosi legione, significando ulteriormente con un «perché siamo molti».

Il mio parallelo finisce qui, affacciato alla immagine folgorante della moltitudine che travalica contesto e credo, forse una delle più centrate nel preconizzare la scoperta di patologie della personalità multipla. Senza la minima volontà di attribuire alcun intento malefico all’intelligenza artificiale, che come dimostrano i miei interventi pregressi mi interessa molto da vicino, la definizione che dà il demone di se stesso fotografa perfettamente lo stato dell’arte a riguardo della IA e in particolare della sua percezione (leggi commercializzazione) ai nostri giorni.

Oggi si racconta sempre più spesso della IA come di un organismo unitario, una sorta di soluzione universale condensata dentro un unico referente strutturato come entità esaustiva e potenzialmente onniscente. Allo stato attuale la IA, in termini quantitativi, è perlopiù una soluzione per raffreddare il frigo da remoto o gestire i ritmi circadiani, organizzare lavoro e clienti, fare shopping o scrivere pièce letterarie. La IA riprogramma computer, gestisce i comandi vocali di televisori e auto, realizza opere d’arte, progetta case, istruisce i navigatori, domina il famigerato (per me che lo detesto) T9. Potrei andare avanti all’infinito nell’elencare le versioni funzionali della nuova divinità all’orizzonte. Sempre più spesso nelle offerte commerciali, accanto alle parole dalla insopportabile ipocrisia che non attesta alcun impegno reale, come sostenibilità, prossimità, accessibilità e tutto il politically correct, alibi perfetto che cura le indecisioni del consumatore come una aspersione salvifica, cosa si inserisce? Ovviamente l’innovativo, rivoluzionario, fondamentale e imprescindibile contributo della IA. Anche le mutande vengono ormai vendute come AI related.

È evidente che la proposizione e imposizione del modello unitario e onnicomprensivo della intelligenza artificiale fa esclusivamente il gioco del mercato. Dal piccolo al grande, tutti integrano il pacchetto della propria proposta con la IA contando su un vuoto di conoscenza provvidenzialmente colmato dalla appetibile mitologia della panacea informatica. Il problema è che, come lo spiritello che importunava l’uomo dei vangeli, la IA non è per niente una. Sono molte, praticamente infinite, forse più numerose della legione. E spesso sono declinazioni improprie e impropriamente definite.

Per IA intendiamo una dimensione evoluta, strutturata ed estremamente complessa della codifica digitale, tale da dar corpo a visioni che vanno dal primitivo Metropolis di Fritz Lang al più recente Her di Spike Jonze, passando per il romantico Blade Runner che continua a disperdersi nella pioggia degli aforismi più citati di sempre. Quello che il mercato ci contrabbanda, tentando di propinarlo con l’aura di una svolta epocale, in tanti casi non è altro che una programmazione funzionale all’utilizzo di strumenti, organizzata con qualche algoritmo e database in più rispetto a un timer per la irrigazione del prato, distante anni luce dai fasti del pur superato Deep Blue che tormentava i sonni di Garry Kasparov.

L’intelligenza artificiale oggetto delle ricerche che puntano a farne una svolta cognitiva ed esperienziale non è così comune e a portata di utente. Semmai, l’utente lo gestisce. Quella propagandata per aumentare le vendite si divide in rivoli infiniti, moltitudine mediamente stupida e altrettanto utile, che di realmente intelligente ha ben poco. Tra la IA commerciabile e il prodromo di un mondo nuovo a venire, non c’è una distinzioni in gradi, si tratta di dimensioni di intelligenza completamente differenti. Non si può vendere un petardo come una meraviglia pirotecnica. Ma si vende, perché alla gente piace far scoppiare petardi immaginando Versailles.

La maggior parte delle persone è propensa a questo baratto di intelligenza (quella sì) svenduta per il miraggio di un mondo superperformante a portata di mano quando chissà per quanti decenni ancora dovremo combattere con la obsolescenza di mezzi che risalgono all’inizio dell’era postindustriale o velocità di dati che ricordano i primi treni a vapore. Non immagino complotti con una qualche specificità volti al dominio universale. Penso a un mondo in cui da sempre la legge del mercato regola tutte le altre leggi, etiche o pragmatiche non importa, e per far questo crea i suoi slogan con la grande sapienza verificata in secoli di gestione delle masse, sempre prone all’accidia critica più spinta e disponibili alla possessione, per la verità meno dignitosa di quelle diaboliche, da parte di una IA che invece di legione definirei armata brancaleone per menti istupidite anzitempo.


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