David Trezeguet stasera a Torino allo Juventus Stadium scende in campo con le “Legends” bianconere che nella seconda edizione dell’Unesco Cup sfidano le “leggende” del Boca Juniors (tv: Premium Sport, ore 20.45). Tutto il ricavato andrà a sostegno dei bambini del Centrafrica e del Mali. Un Trezeguet a tutto campo per la solidarietà visto che giovedì scorso - con molti altri campioni dello sport ha preso parte a #Laureus #F1CharityNight, la notte dedicata allo sport ed al sociale. All’asta benefica stati raccolti 351.000 euro a favore dei progetti della Fondazione Laureus, la Onlus fondata nel 2005 che ad oggi ha coinvolto 1.500 bambini e ragazzi che vivono in contesti disagiati. «Laureus fa un percorso che aiuta a far emergere il concetto di “resilienza” – spiega Daria Braga, direttore Fondazione Laureus Italia Onlus – cioè la capacità dell’individuo di ricostruirsi una vita in condizioni di difficoltà».Una legge, non scritta, del calcio dice: se nasci bomber, non smetterai mai di andare in gol. E il 37enne David Trezeguet, nome d’arte “Trezegol”, continua ad andare a segno ogni giorno. Specie da quando, appesi gli scarpini al chiodo («L’ultima stagione è stata l’anno scorso in India, nel Pune, con Franco Colomba allenatore ») è diventato presidente delle “Juventus Legends”. Una leggenda il franco-argentino (oltre 300 gol in carriera, terzo marcatore nella storia della nazionale francese - con cui vinse il Mondiale del ’98 e l’Europeo del 2000 - e primo degli stranieri della Juventus con 171 gol) a capo delle “leggende”, le ex glorie bianconere che ha riunito - come questa sera a Torino - per scendere in campo e dare voce a chi non ne ha. Sono i bambini della Repubblica Centrafricana e del Mali, volti, storie e sofferenze che Trezeguet conosce da tempo. Nel continente nero in soccorso di quei bambini, il generoso David volò subito dopo il triplice fischio della finale mondiale di Berlino 2006, quella persa dalla sua Francia contro l’Italia di Marcello Lippi. Ma non è il caso di rivangare notti non magiche per i francesi, colpi di testa (quella di Zidane a Materazzi, ormai diventata opera d’arte: la scultura di Abdel Abdessemed) e tanto meno dello zero in classifica della Juventus anche perché con ottimismo Trezeguet taglia corto: «Vedrete, la squadra di Allegri si riprenderà molto presto e farà bene come la passata stagione». Parola di uno che conosce bene lo stile e la tempra bianconera, al punto che per la causa juventina in quel nefasto 2006 di Calciopoli accettò di scendere in Serie B, assieme ai campioni del mondo Gigi Buffon, Alex Del Piero, Mauro Camoranesi e la furia ceca Pavel Nedved. Anche Nedved è un dirigente nell’attuale Juve del presidente Andrea Agnelli e anche uno degli ex che in campo, e fuori, segue il progetto di Trezeguet che ha come partner l’Unesco. «Finché sei in campo a volte manca il tempo per occuparsi di certe missioni, ma uno degli obiettivi è sensibilizzare il più possibile i grandi e i piccoli club affinché trasmettano ai loro calciatori il messaggio di quanto sia fondamentale occuparsi dei più deboli, quindi dei bambini». Il cammino di Trezeguet è cominciato a Bangui (Centrafrica) e proseguito fino a Bamako (Mali) assieme al sottosegretario dell’Onu, il connazionale Eric Falt. «La prima volta sono andato per toccare con mano quella realtà tragica dei bambini soldato. Ho visto con i miei occhi piccoli tra i 6 e i 12 anni senza niente, senza cibo né vestiti. Infanzia armata e strappata dalla guerra civile, una “non realtà”. Il futuro lì è una parola che, come il loro nome, non sanno neppure come si scrive». Analfabetismo («Dobbiamo costruire più scuole»), malattie («I medicinali non bastano mai») e gli orrori subiti e perpetrati da queste creature indifese come quelle di Boy Rabe, la zona off limits di Bangui dove Trezeguet ha avuto il coraggio di andare. «Un pallone, una maglia e un paio di scarpe da calcio per quei bambini rappresentano un momento di normalità nell’assurdo quotidiano di cui sono prigionieri. E l’emozione che ho provato quando ho visto il sorriso di un bambino o una bambina di quei Paesi non si può spiegare... Bisogna andare laggiù e fissare i loro occhi». Un invito ai suoi colleghi calciatori a intraprendere un viaggio che «dà molto non solo a chi riceve, ma soprattutto a chi offre come noi», dice Trezeguet. «La mentalità del mondo del calcio e dello sport tutto sta cambiando: ha capito che è necessario lavorare e sostenere l’infanzia, anche perché il bambino guarda al campione con uno sguardo pieno di ammirazione. E questo, sta creando un maggior senso di responsabilità nello sportivo nei confronti del suo piccolo, specialissimo, tifoso». Piccoli tifosi dalla pelle nera, bambini in fuga dalle guerre che una volta arrivati in Europa rischiano di finire al margine o nei ghetti “bombardati” dal razzismo. «Anche su questo fronte come Juventus ci siamo mossi da tempo con un progetto “contro il razzismo”... Lilian Thuram in Francia sta facendo qualcosa di straordinario riguardo la cultura dell’antirazzismo, lui è un ex juventino che ha fatto la storia di questa società in campo e ora può scrivere assieme a noi quella futura anche fuori dal rettangolo di gioco». A novembre anche papa Francesco («Bergoglio si chiama Jorge come mio padre, argentino pure lui») andrà in visita in Centrafrica e Trezeguet fa un tifo sfegatato per il Santo Padre. «Papa Francesco è l’unico leader mondiale in grado di incidere sulle coscienze degli uomini. Il calcio, con un Michel Platini che presto spero sia il nuovo capo della Fifa, può garantire ancora più risorse da destinare a quei bambini che in ogni parte del mondo ci chiedono aiuto».