lunedì 15 giugno 2015
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Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, non erano soli i sette monaci rapiti dai terroristi islamici nel monastero trappista di Tibhirine, sui contrafforti dell’Atlante algerino. Con loro c’erano altri due monaci e alcuni membri del gruppo di dialogo islamo-cristiano Ribât es-Salâm ("Vincolo della pace"). I terroristi, però, non lo sapevano. Erano a conoscenza che la comunità di Notre Dame de l’Atlas era composta normalmente da sette membri. E così non si sono curati di cercare nel monastero eventuali altre presenze. I sette rapiti sono stati poi giustiziati presumibilmente il 21 maggio dello stesso anno. Tutti gli altri sono sopravvissuti miracolosamente.Ma se la vicenda umana e spirituale dei monaci di Tibhirine continua a interrogare le coscienze e a ispirare la fede di moltissime persone nel mondo - grazie anche alla pubblicazione di numerosissimi libri e al film Uomini di Dio di Xavier Beauvois - molto meno si conosce dell’esperienza intensa e fruttuosa del Ribât es-Salâm, un gruppo che dallo spirito, oltre che dall’accoglienza, del monastero di Tibhirine, aveva tratto origine e ispirazione. Questo esercizio di dialogo, avviato nel 1979, e continuato in forme diverse anche dopo l’uccisione del monaci, rivive oggi nelle pagine del volume appena uscito in libreria Cercatori di Dio. Il dialogo tra cristiani e musulmani nel monastero dei martiri di Tibhirine (Edizioni Dehoniane Bologna, pagine 360, euro 27), di Mirella Susini, docente presso l’Antonianum e l’Angelicum, che già si era dedicata attraverso altri volumi a una rilettura in prospettiva teologia della vicenda dei monaci.Attraverso documenti inediti rinvenuti nella biblioteca di Tibhirine (trasferita nel monastero trappista di Midelt, in Marocco) e in Francia (grazie alla collaborazione dei monaci di Aiguebelle), questo volume ricostruisce il percorso di incontro, riflessione e arricchimento reciproco che questo gruppo di dialogo islamo-cristiano aveva saputo costruire e consolidare con incontri semestrali, documentati regolarmente attraverso la pubblicazione di un Bollettino.Un percorso che, dopo la morte dei monaci, è continuato sotto altre forme e soprattutto in altri luoghi, specialmente alla Maison diocesaine di Algeri, per ragioni di sicurezza e non solo. Lo scorso marzo, per la prima volta, il Ribât es-Salâm è tornato di nuovo là dove era nato, a Tibhirine. «È stato un momento importante e di grande emozione - testimonia padre Jean-Marie Lassausse, che dal 2000 si occupa del monastero -, un ulteriore segno della vitalità di questo monastero, che continua a testimoniare, con la sua presenza e le sue attività, la possibilità di un incontro a diversi livelli tra cristiani e musulmani». Il gruppo era composto da dodici partecipanti, di cui tre musulmani (due dei quali donne). Tra di loro, alcuni "storici" del Ribât, come Armand Garin, piccolo fratello di Gesù di Annaba, suor Djamila, piccola sorella di Orano, Jean-Marie Jehl, ex responsabile della Maison diocesaine di Costantine e attuale parroco di Batna e Hélène Massacrier una laica sempre di Batna.«Insieme - racconta padre Lassausse - hanno visitato il monastero, che nel frattempo è stato restaurato e rinnovato, e hanno pregato sulle tombe dei monaci. Questo ritorno a Tibhirine è molto importante anche per me che vivo qui da molti anni, senza una comunità, ma con vari compagni di viaggio che si sono alternati nel tempo. È un segno che questo monastero continua a essere al cuore della Chiesa d’Algeria e che il dialogo islamo-cristiano continua non solo nella vita di tutti i giorni - cosa che sperimentiamo continuamente - ma anche attraverso la riflessione di straordinaria attualità e urgenza portata avanti dal Ribât es-Salâm».Bibbia e Corano alla mano, ricorda la Susini nel suo libro, «cristiani e musulmani, insieme, hanno voluto fare esperienza di una comunione spirituale all’insegna di ciò che le due religioni monoteiste hanno in comune, a partire dalla preghiera, cioè dal rapporto con Dio».Nel volume risuonano anche le parole del priore di Tibhirine, Christian de Chergé, e si respira il suo carisma e la sua spiritualità, che avevano fortemente impregnato anche le riflessioni di questo gruppo. In particolare, Christian sottolinea a più riprese la necessità della "gratuità" nel dialogo e della responsabilità cristiana, che chiede di comprendere che «poiché ci si profila un unico orizzonte, diventa vitale imparare a camminare insieme in nome di ciò che di migliore si ha in sé». E poi si ritrovano testi magnifici, come quello  di Christian presentato alle "Giornate romane" del settembre 1989, dal titolo Oranti in mezzo ad altri oranti, in cui sottolinea l’urgenza evangelica di vivere nella "casa dell’islam", in termini di «non violenza concreta, urgenza della giustizia sociale, libertà religiosa, rifiuto del proselitismo, spiritualità del dialogo, rispetto della differenza, senza dimenticare la solidarietà con i più poveri, sempre da reinventare». Un programma di un’attualità quanto mai stupefacente.
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