mercoledì 24 agosto 2022
La vicenda dei cavalieri del Tempio riletta su basi storiche evidenzia scelte religiose e militari controcorrente, in assonanza con lo stile francescano di cristianesimo, fra dialogo e povertà
Mappa di Gerusalemme, XII secolo (particolare). L’Aia, Koninklijke Bibliotheek

Mappa di Gerusalemme, XII secolo (particolare). L’Aia, Koninklijke Bibliotheek

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Si svolge ad Alessandria dal 25 al 28 agosto la seconda edizione del Festival internazionale dei Templari. Diretto dalla storica Simonetta Cerrini (qui una sintesi del suo intervento), con la direzione artistica di Gian Piero Aloisio, propone gli interventi di storici di fama internazionale su temi ancora oggi di grande attualità: i cristiani e la guerra, il significato di pace per san Francesco, come affrontavano la guerra i frati Templari, i rapporti fra le religioni allo loro epoca.

Tutto dei Templari riporta a un paradosso, un paradosso che determina la loro essenza e che caratterizza la loro vicenda. Infatti, il loro straordinario successo mediatico (basti citare i best seller editoriali Il codice Da Vinci di Dan Brown e Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, i film hollywoodiani come Indiana Jones alla ricerca del Santo Graal, L’ultimo dei Templari con Nicholas Cage, la serie tv Knightfall il videogioco Assassin’s Creed) non nasce dalla loro storia, ma si nutre della loro leggenda e quest’ultima affonda le radici in un processo e in un rogo: il primo grande processo politico della storia europea scatenato dal re di Francia Filippo il Bello venerdì 13 ottobre 1307 e il rogo di Jacques de Molay, 23° e ultimo gran maestro del Tempio, consumato a Parigi l’11 marzo del 1314. Nel 1312 papa Clemente V, messo alle strette da Filippo il Bello, abolì il Tempio, sen- za condannarlo, ma la novità rivoluzionaria della loro esperienza è stata annullata dall’eco ridondante della loro tragica fine. Nel cuore della società medievale, da cui è nata l’Europa, si cela quindi una storia che, a dispetto di ogni apparenza, resta finora misconosciuta: la storia dei “Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone”, la storia dei Templari. Una storia che si rivela molto attuale, perché espressione di tensioni che percorrono anche la nostra società: scontri e incontri tra religioni e culture, tra chierici e laici.

Nel 1120 il primo maestro dell’ordine, Hugues de Payns, fondò con altri compagni una società alternativa a quella del suo tempo, in cui si poteva accedere al sacro senza separarsi dal mondo, come facevano i chierici, ma restando laici e guerrieri. La sfida templare di una doppia vocazione, al tempo stesso attiva e contemplativa, permise ai laici di partecipare alla gestione del sacro, divenuto – soprattutto dopo la riforma detta impropriamente “gregoriana” – monopolio esclusivo dei chierici. Da questa fusione risultarono profondamente trasformati sia i religiosi, i fratres, sia i soldati, i milites, e nel 1129 a Troyes, nella Champagne, adottarono, sotto l’attenta supervisione del potente abate di Clairvaux, san Bernardo, e di altri grandi figure della Chiesa riformatrice, una regola sorprendente che potremmo definire “rigorosamente anti-ascetica” per dei religiosi e “coraggiosamente anti-eroica” per dei cavalieri. Una regola che se dava da una parte il permesso di «colpire il nemico (pubblico) senza commettere peccato», dall’altra si preoccupava di eliminare dai frati cavalieri ogni forma di violenza, anche verbale, e di allontanare da loro ogni sentimento d’ira o di avidità, concependo il loro essere combattenti come un servizio e non come un privilegio, un lavoro in un certo senso non diverso da quello dei contadini o degli artigiani.

La rivoluzione dei Templari era pacifica non in un senso antimilitarista, ma nel senso che avevano previsto di essere attivi e responsabili in una società “mobile” dai confini fluttuanti, in cui coabitavano con persone che avevano altre fedi e altri costumi, auspicando di condividere tutti, chierici e laici, la terribile responsabilità dell’ingiustizia e della violenza, lavorando però continuamente per eliminarli. La loro abilità diplomatica, esercitata per sanare numerosi conflitti, e le guerre da cui si sono di fatto astenuti, come la crociata contro i catari, ci mostra un templare che non cerca la guerra a tutti i costi, ma che accetta di combattere solo «quando sarà necessario», come scrive la Cronaca di Ernoul. La loro scelta di laicità (laico nel senso di “non clericale”) ebbe numerose conseguenze: ad esempio la porta del Tempio s’aprì alla cultura religiosa in lingua volgare e ad altre esperienze religiose, come testimonia l’amicizia che legò i templari al principe musulmano Osama ibn Munqid, figlio dell’emiro di Shaizar, o il pellegrinaggio al celebre santuario mariano di Saydnaya, presso Damasco, che da più di mille anni accoglie cristiani d’Oriente, cristiani d’Occidente e musulmani. Questa tendenza fu condivisa più tardi da san Francesco d’Assisi, che incontrando nel 1219 il sultano Al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino, sul campo di Damietta diede il via a un nuovo modo di pensare i rapporti con l’islam.

Ma le affinità tra i Templari e il santo di Assisi non si fermano alla valorizzazione della laicità (con relativa barba che ne era un tratto distintivo), ma si estendono al ruolo centrale affidato da entrambi gli ordini alla povertà e alla cortesia. Le somiglianze fra Templari e Francescani, le affinità tra due ordini religiosi apparentemente agli antipodi, furono rilevate già dal notaio Antonio Sicci di Vercelli, che era stato al servizio dei Templari ad Acri, e che, chiamato a testimoniare al processo contro il Tempio, nel 1311 dichiarò alla commissione pontificia: «Udii riferire da loro [i Templari] che il detto papa, che confermò il detto ordine, diede loro una regola, molto simile a quella che è stata concessa ai frati Minori, regola che io stesso che parlo, quando ero Oltremare, ho scritto con le mie mani per alcuni frati dello stesso ordine. Nella regola o in ciò che conteneva non vidi né trovai né lessi né scrissi nulla di disonesto, nulla che non si possa e debba trovare in qualunque altro santo ordine». Per la prima volta, la via di santità riservata ai chierici, lontani dalle battaglie e dal sangue, avrebbe dovuto aprirsi anche a chi aveva accettato di vivere nella propria carne l’umana terribile contraddizione della guerra. E invece, il primo ordine religioso e insieme militare della cristianità latina, malgrado i miracoli, i martiri riconosciuti e i santi misteriosi come san Bevignate di Perugia, non ebbe mai nessun frate cavaliere templare innalzato dalla Chiesa agli onori dell’altare.

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