Spaccone, irriverente, divertente, simpatico, sbruffone, fastidioso, stupendo. Si potrebbe andare avanti a descrivere Gianmarco Tamberi, questo è quello che pensano di lui avversari e tifosi perché mentre è in pedana il ragazzo dà spettacolo come fosse l’Alberto Tomba “la bomba” degli anni d’oro oppure il Valentino Rossi alla fine del gran premio. Tamberi lo si ama o lo si odia, è l’uomo dell’atletica italiana del momento con il suo nuovo primato italiano indoor portato a 2,35 metri e quando è in pedana è sempre show ad iniziare da quel suo look inusuale con quella barba tagliata a metà faccia, guancia destra rasata e la sinistra incolta e lunga. Un vezzo, un portafortuna, un segno del destino.
Halfshave, mezza barba, da anni è il suo soprannome.
Perché questa barba a metà? «È iniziato una volta per gioco, mio padre per farmi curvare meglio nella rincorsa mi disse di tagliarmi la barba solo a destra, in maniera che a sinistra il viso sarebbe pesato di più ed io mi sarei inclinato meglio nella corsa verso sinistra. L’ho fatto per davvero quel giorno in gara nel 2012 ai campionati italiani juniores e migliorai il mio personale da 2,14 a 2,25metri. Da quello scherzo la mia “mezzabarba” è diventata per me un simbolo scaramantico ».
Con il 2,35 di Banská Bystrica del 4 febbraio ha migliorato il primato italiano e ora è ai vertici mondiali, vola anche dalla felicità ora? «Certo, sembrerò sfrontato ma me lo aspettavo. Negli ultimi cinque mesi mi sono allenato molto bene, con serietà e dedizione, quindi felice ma non totalmente soddisfatto, so che posso fare meglio».
A Trinec sempre in Repubblica Ceca domenica è arrivato anche un altro grande risultato, 2,33m eppure sembrava quasi più appagato rispetto al giorno del record, come mai? «Perché è stata una gara molto più difficile, ero stanco, la pedana non mi piaceva, mio padre che è anche il mio allenatore quando eravamo ancora a misure molto basse all’inizio mi ha detto di fermarmi e lasciar perdere. E invece io sono un animale da gara, un agonista. Mi sono intestardito reagendo alla situazione negativa che si stava creando. Ho imparato molto da quella giornata, tutta esperienza e convinzione mentale che mi servirà in futuro».
Ha già saltato e migliorato il primato italiano all’aperto nell’estate scorsa 2,37 metri, quanto sono lontani i 2,40? «Poco, perché sotto l’aspetto mentale ho la convinzione di essere un grande agonista, a Pechino ai mondiali dell’anno scorso andò malissimo, sentivo una pressione troppo grande su di me, adesso ho imparato a gestirla. A livello tecnico-fisico ci siamo, i movimenti imparati due, tre anni fa ora sono automatismi assimilati. Ho lavorato tanto su particolari e dettagli. Ora vanno solo affinate le cose e rendere tutto più fluido».
Insieme a lei al record di 2,35, nella stessa gara, è arrivato anche Marco Fassinotti. Appena più indietro, c’era anche Silvano Chesani. Tre in cima al mondo, non era meglio essere star assoluta? «No, questa concorrenza è fantastica. È la vera molla che mi aiuta a dare il massimo ad ogni allenamento, mi da una carica pazzesca, fondamenallenarsi tale. In gara con Fassinotti è stata una sfida centimetro per centimetro fino alla fine, se non c’era lui magari non facevo il record».
Tra di voi si respira aria d’amicizia o no? «Con Fassinotti diciamo che non esiste un rapporto, ma quanto meno ultimamente siamo al rispetto, con Chesani grande amicizia, tant’è che in questa settimana è qui con me nelle Marche ad e sabato andremo insieme alla terza e ultima tappa del Tour dell’alto mondiale indoor a Hustopece».
Oltre a voi tre poi c’è lei, Alessia Trost e il giovane Stefano Sottile che è campione del mondo under 18. Ma come e lo spiega che nel resto dell’atletica non esistiamo? «Non lo so, direi una stupidata. So solo che io, anzi noi, stiamo davvero dando il massimo mettendoci in gioco ogni giorno».
L’atletica leggera può essere spettacolo e divertimento o solo serietà, tempi e prestazioni? «Banská Bystrica è una gara unica al mondo, hai il pubblico a tre metri da te, consegni la musica che vuoi sentire in pedana mentre salti al deejay che la spara a volume da discoteca, c’è condivisione totale delle emozioni con i tifosi, c’è vibrazione e adrenalina. È divertimento e spettacolo puro. Finchè in Italia, ma non solo, non porteremo questo genere di eventi, magari in qualche piazza all’aperto davanti a tutti, l’atletica non avrà mai visibilità e non sarà considerata divertimento».
Suo padre, Marco Tamberi, è stato a sua volta recordman italiano di salto in alto negli anni ’80, cosa è cambiato in questa disciplina? «Tanto, quasi tutto. Le pedane sono completamente differenti, fisicamente si lavorava sulla forza esplosiva con una quantità industriale di pesi in palestra. Oggi si parla di elasticità, reattività e tecnica. Io non faccio mai pesi ad esempio ».
Suo padre è anche il suo allenatore, che tipo di rapporto c’è? «Abbiamo due rapporti diversi, ora che vivo da solo riesco a scindere bene casa e pedana. Mentre prima quando vivevo insieme a lui sentivo troppa pressione addosso e mi sentivo controllato, sorvegliato. Sono professionale al massimo, però se ho voglia di uscire una sera a divertirmi mi sento più libero e sereno nel farlo».
Domanda scomoda: circola doping in pedana? «Penso di no. A parte qualche raro caso accaduto che è stato scoperto e ha portato comunque a risultati modesti. Non serve a molto doparsi nella nostra disciplina, chi vuole essere al top può farne davvero a meno».
C’è altro nella sua vita oltre al salto in alto? «La pallacanestro. Tifo per gli Houston Rockets in Nba e qui in Italia partecipo anche a gare di schiacciate».
Se dico la parola Olimpiadi 2016? «A Londra 2012 andai per partecipare. Qui no, voglio essere protagonista totale, ci penso ogni giorno dal settembre scorso, è questo un anno fondamentale per me. È iniziato bene, ma solo a Rio potrò dire di essere soddisfatto ».