venerdì 3 marzo 2017
Sabato 4 marzo si corre “la corsa del Nord più a sud dell’Europa” sulle strade sterrate attorno a Siena
Strade Bianche, un tuffo nel passato
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È nata per ultima, ma conserva già un fascino antico. È la più giovane e fantastica delle corse italiane, nata da un’intuizione, che poi è follia, magia e sogno. Manca la tradizione ma è già leggenda. Non ha una grande storia, ma ne ha già scritte di grandi. Sabato 4 marzo si corre le Strade Bianche, la corsa del Nord più a sud dell’Europa, che i corridori hanno cominciato ad amare sin da subito, dal quel 2007, prima come Eroica, poi come Strade Bianche. Da Siena a Siena e già questo è molto, tanto, troppo, forse tutto. Vengono da ogni angolo del mondo per vederla, perché una corsa che parte e arriva in uno dei salotti più belli e nobili d’Italia non è cosa di tutti i giorni. Dalla Fortezza Medicea a Piazza del Campo: in mezzo 175 chilometri di cui 62 bianchi, sterrati, polverosi e ghiaiosi, suddivisi in 11 settori. Le Strade Bianche stanno all’Italia come la Parigi-Roubaix alla Francia e il Giro delle Fiandre al Belgio. È una corsa che è già marchio di fabbrica, punto di riferimento, icona, orgoglio tricolore. Una corsa così non possono averla in tanti: perché queste terre, questo sterrato, queste strade sono segno distintivo di una terra che nella terra si identifica e si distingue.Come Fabian Cancellara, che questa corsa ha vinto per ben tre volte (2008, 2012 e 2016) e ieri ci è tornato come ex. Ad Asciano, all’inizio dell’undicesimo settore di sterrato della Strade Bianche, Monte Sante Marie (11 km), è stato posta una pieta che riporta il suo nome: «Averla vinta tre volte è un vanto e spero che questo rimarrà nella storia di questa bellissima manifestazione – ha detto il campione elvetico -. Quest'anno vedo favoriti Sagan e Van Avermaet, che hanno già dimostrato in Belgio di andare fortissimo, ma non escluderei anche Stybar e Felline, che ho visto andare forte nelle ultime corse». Ci sarà anche Vincenzo Nibali, che ha chiesto espressamente al suo team di poter correre una corsa che non faceva parte del suo programma. «Correrle per me è il massimo. È una corsa nella quale non c’è ancora la storia delle Classiche del Nord, però sono bastati pochi anni e questa è diventata una delle gare più amate dai corridori. Quando porti a termine una gara così massacrante e dura è vero che sei sfinito, ma sei anche maledettamente felice».Le Strade Bianche, un tuffo nel passato. Esattamente come quelle che nel 1869 hanno tenuto a battesimo una ventina di velocipedisti per la prima gara italiana al Prato della Valle, a Padova. Ma anche come quelle che nel 1909 hanno accolto i 127 arditi iscritti alla prima edizione del Giro d’Italia. Strade Bianche, polverose o fangose, dure o scivolose, pavimentate di ghiaia e schegge di pietra, che incipriano i volti e soffocano la gola. Imbiancano anche i capelli, ma basta un semplice gesto della mano per far tonare tutto come prima. Perché questa è una corsa che affatica, ma non rende vecchi. Tutt’al più invecchia. L’unica cosa che alle Strade Bianche ancora manca.

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