sabato 17 maggio 2025
Alle Gallerie d’Italia di Torino, fino al 7 di settembre, l'esposizione sorprendente dell'artista con una riflessione su fotografia, immagini e luoghi, fra realtà e intelligenza artificiale
Olivo Barbieri, “site specific_SHANGHAI 04”. Una delle opere esposte alle Gallerie d'Italia di Torino nella mostra "Spazi Altri"

Olivo Barbieri, “site specific_SHANGHAI 04”. Una delle opere esposte alle Gallerie d'Italia di Torino nella mostra "Spazi Altri" - Olivo Barbieri

Lo sguardo è sulla Cina. Ma potrebbe essere qualunque luogo. E la visione così curiosa e bizzarra da apparire finta, realizzata con l’intelligenza artificiale. Olivo Barbieri sorprende (sempre). E affida ai suoi scatti (autentici) una riflessione sulla fotografia e su come cambiano gli spazi fra polarità e contrasti, fra frenesia e vuoto, fra arcaismo e postmodernità. Spazi Altri, come il titolo della mostra che Gallerie d’Italia - Intesa Sanpaolo di Torino gli dedica fino al 7 settembre (a cura di Corrado Benigni). Visioni dualistiche secondo lo stile e l’arte di uno dei fotografi italiani più innovativi e originali, le cui immagini oscillano appunto tra vero e rappresentazione del vero, tra mondo immaginato e mondo riprodotto. Dalla Cina, come in questo caso, a Las Vegas, fino alla nostra penisola nell’esordio a colori con Viaggio in Italia, quello del 1974 di Luigi Ghirri & Co (nella “Co” c’era anche lui) o nei “Flippers” del 1977 su ciò che restava di quelle macchine del divertimento abbandonate in un deposito vicino casa: i colori del mito e i cocci della rovina, loro stessi deposito della cultura e dell’immaginario di un’intera epoca. Sempre al limite, fra la realtà e la fantasia, secondo la sua visione della fotografia legata all’immagine.

Quella alle Gallerie torinesi è una mostra che presenta oltre 150 opere, tra trittici di grandi dimensioni, polittici e due quadrerie che rappresentano una sintesi organica della ricerca che Barbieri ha dedicato alla Cina, con molte fotografie inedite (il catalogo è il primo edito da Società Editrice Allemandi per Gallerie d’Italia). Era il 1989 quando il fotografo di Carpi (classe 1954) compiva il suo primo viaggio nella terra del Dragone, casualmente proprio durante i fatti di Piazza Tienanmen. Da allora ha avuto inizio un approfondimento che per decenni ha condotto regolarmente l’artista nella Repubblica Popolare Cinese (le foto esposte si fermano al 2019), «della cui trasformazione – nota Benigni – intuisce fin dagli esordi la portata sociale, economica e culturale, una transizione che interessa tutta l’umanità per il suo impatto in termini di identità, sostenibilità, migrazioni, nuove tecnologie e intelligenza artificiale. La Cina come ombelico, punto di impatto di una rivoluzione visiva che trasforma - deforma - lo stesso sguardo fotografico ». La Cina come metafora. « Ma non più di un’incolmabile distanza, “non luogo” di un catartico quanto improbabile capovolgimento; al contrario, di un luogo deputato al cambiamento, del passaggio da un’epoca all’altra».

Nei “paesaggi in miniatura” come still-life e nelle grandi foto aeree della Cina di Barbieri c’è tutto questo. C’è una metafora senza tempo e spazio. C’è il senso della fotografia e la tecnica che hanno reso Barbieri riconoscibile per la capacità di trasformare l’immagine della realtà in un modello, un plastico, un mondo in progettazione: le lunghe esposizioni, l’illuminazione artificiale, le riprese verticali, l’uso di colori saturi e il fuoco selettivo che trasforma il reale in un avatar di sé stesso. D’altronde la massima definizione di Barbieri è che «il soggetto della fotografia è la fotografia stessa». Perché a Barbieri non ha mai «interessato la fotografia, ma le immagini: credo che il mio lavoro inizi laddove finisce la fotografia». La prima retrospettiva, al Maxi di Roma, nel 2015, si intitolava, infatti, “Immagini”, e non “Fotografie”.

E così dalla Cina si arriva al grande interrogativo di oggi: cosa significa fare fotografia al tempo del digitale e ancor più dell’intelligenza artificiale? «Dal momento in cui una fotografia è trasmessa con un sistema digitale e diventa una cosa che si teletrasporta – spiega Barbieri –, non è più fotografia, ma immagine. La fotografia fatta con il telefonino non è fotografia». Con l’Ai «succede una cosa meravigliosa e perturbante allo stesso tempo, almeno per la mia generazione. Se prima si partiva da un’immagine per creare un testo come gli scrittori per trovare le parole, adesso succede il contrario: si può partire da un testo per creare un’immagine artificialmente. Si è ribaltato tutto, ed è molto interessante. Ma probabilmente la fotografia è finita, comincerà qualcos’altro che stupidamente continueremo a chiamare fotografia, anche se in realtà non sappiamo ancora cosa sarà». Per la serie: fotografia? Basta la parola. Eppure, guardando le immagini di Barbieri, viaggiando con lui nella Cina dei contrasti e dei cambiamenti, la fotografia continua a dire la sua e farci vedere oltre. Quegli “Spazi Altri” che anticipano il futuro. Dalla Cina all’Occidente, il passo è breve.

Una foto e 722 parole.

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