venerdì 7 febbraio 2020
Una grande mostra alla Carrara fa luce su un pittore centrale per la Lombardia borromaica. Rivalutati gli anni veneziani, ma resta poco indagato il ruolo che ebbe sulla formazione del Merisi
Simone Peterzano, "Deposizione di Cristo dalla croce", olio su ardesia, particolare. Musée des Beaux-Arts de Strasbourg

Simone Peterzano, "Deposizione di Cristo dalla croce", olio su ardesia, particolare. Musée des Beaux-Arts de Strasbourg - (Musées de Strasbourg, M. Bertola)

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Che cosa abbia interrotto la continuità della fama in autori che tre secoli prima erano celebrati come grandi o notevoli (magari senza raggiungere la categoria del “divin pittore”) e poi scompaiono finché qualcuno non rinnova la classica domanda: “chi era costui?”, è uno dei misteri che segnano la storia dell’arte (ovvero la storia tout court). Certo è che nel 1906 quando lo storico Carlo Elli si domandò – come scrivono i curatori della mostra inaugurata due giorni fa a Bergamo – chi fosse mai quel tal «Simone Peterazzano, o Petrazzano », fu come se improvvisamente la storia dell’arte si fosse risvegliata dall’oblìo in cui teneva da tre secoli il povero Simone.

Questa domanda è presa dai curatori della mostra per darci un limite a quo da cui far ripartire la riscoperta di Peterzano, recupero che si gioca, come un mantra, sull’allievo di Tiziano che fu poi maestro di Caravaggio. Ora, per una volta, mi dicevo, si usa la classica formula “Da... a...” non come richiamo per le allodole, ma con cognizione di causa. Mi riferisco al titolo della mostra: Peterzano. Allievo di Tiziano, maestro di Caravaggio, cui gira attorno uno slogan pubblicitario apparentemente sgrammaticato: «Tiziano e Caravaggio in Peterzano». Se da un lato quel “richiamo” ci sta, perché fu lo stesso Peterzano a ribadire per tutta la vita il suo essere allievo di Tiziano, dall’altro suona come un intrigante rovesciamento sul piano semantico, perché sembra alludere a quanto di Caravaggio ci sia in Peterzano (Berenson l’avrebbe subito aggiunta alle “incongruenze” del pittore che non amava). Potrebbe anche essere che l’allievo abbia avuto una influenza sul maestro, però si deve dimostrarlo. Ma non è questa la strada scelta dai curatori, e d’altra parte non è nemmeno quella di dare prova ampia e inedita della funzione che Peterzano ebbe sull’immaginazione e la cultura di Caravaggio. Impegno non da poco, senza dubbio.

Credo – e cerco di immaginare – che Francesco Frangi, Simone Facchinetti, Paolo Plebani e Cristina Rodeschini (direttrice dell’Accademia Carrara, dove si tiene la mostra) si siano posti la questione così: la mostra sul Peterzano poteva avere due prospettive “disgiunte” che segnano, una, l’inizio del pittore, nato a Venezia e allievo di Tiziano, e indaga quante tracce si ritrovano oggi in Laguna del suo passaggio; l’altra, dopo il 1572, quando si stabilisce a Milano e si fa ambasciatore del colore veneto in Lombardia – il cui confine, come ben sottolinea Facchinetti, correva sull’Adda –; questa seconda è la traiettoria di un artista ormai trentasettenne che a Milano ottiene molte commesse religiose, connotate dal verbo rigorista di Carlo Borromeo, e perde via via il ricordo del gusto sontuoso e licenzioso della Serenissima, fino a chiudere la sua vita di pittore con uno stile “raggelato” che sembra cadere in una sorta di sclerosi del manierismo.

Ma prima di arrivare a questo, ecco che egli è ancora il pittore allievo di Tiziano che esegue grandi cicli di affreschi per San Maurizio a Milano e per la Certosa di Garegnano; a cui s’aggiungono le grandi tele di San Barnaba – uno dei vanti di questa mostra, che li presenta tutto o in parte restaurati – e così via. Però se nel titolo entra Caravaggio, il minimo che ci si aspetta è che ci venga dato pane per denti che vorrebbero mordere qualcosa di più di scarne notizie documentarie e sentir ribadire accostamenti fra opere di Peterzano e Caravaggio peraltro già acquisite dalla storiografia recente.

Simone Peterzano, 'Deposizione di Cristo dalla croce', olio su ardesia. Musée des Beaux-Arts de Strasbourg

Simone Peterzano, "Deposizione di Cristo dalla croce", olio su ardesia. Musée des Beaux-Arts de Strasbourg - (Musées de Strasbourg, M. Bertola)

L’esemplare saggio di Maria Cristina Terzaghi sugli anni in cui Caravaggio fu attivo nella bottega di Peterzano (1584-1588), compreso nel catalogo della mostra (Skira), fa il punto su quanto possiamo sapere sulla vita di Caravaggio prima della“fuga” verso Roma – qualcosa di drammatico lo costrinse ad alzare i tacchi da Milano dopo aver fatto anche la prigione (storia che poi si ripeterà a Roma): da alcune note a margine del medico e scrittore d’arte Giulio Mancini pare avesse ucciso un suo compagno forse per una questione di donne.

Ma questa messa a punto della Terzaghi viene come lasciata cadere nella mostra, dove l’ultima sala è dedicata a due opere di Caravaggio: il Bacchino Malato della Borghese e I musici del Metropolitan, con un disegno di studio di Peterzano per la Sibilla Persica e il contratto di apprendistato col Merisi ancora adolescente, scoperto nel 1927 dal Pevsner. Vengono ovviamente notati in catalogo i rapporti fra le versioni del Concerto e dell’Allegoria della Musica del Peterzano – che già la Gregori considerava come inventore di questa iconografia – e la tela caravaggesca del Metropolitan; così come era ormai canonico l’accostamento fra la Deposizione del San Fedele a Milano e quella del Caravaggio dei Musei Vaticani.

Ma raccolti questi spunti, è come se i curatori della mostra avessero fatto un passo indietro prudenziale rinunciando ad affondi più specifici, e più difficili, sulla dipendenza di Caravaggio dal suo maestro (quanto pesano certe figure negli affreschi di San Maurizio, o in quelli di Garegnano? Moltissimo, tanto che sembra di rivederli a distanza di un decennio in certe opere romane o addirittura nei calcinati dipinti ultimi in Sicilia eseguiti da Caravaggio; Facchinetti, giustamente, nota a proposito di una figura di schiena nel grande telero dei santi Paolo e Barnaba che «isolata dal resto sembra di vedere un brano caravaggesco ante litteram »).

La risposta che mi do su questo strano arresto di marcia verso “Peterzano in Caravaggio” è duplice: negli ultimi decenni, le novità su Peterzano sono venute copiose soprattutto sul periodo veneziano, restituendogli un peso che aveva perso nei secoli; si sono chiariti maggiormente la dipendenza da Tiziano, ma anche l’interesse per altri grandi dell’epoca: Tintoretto e Veronese, per esempio. In mostra, i confronti sono soprattutto accostamenti d’iconografia: la Madonna col Bambino di Veronese del Museo civico di Vicenza, l’Annunciazione di Tiziano della Scuola di San Rocco, e per quanto riguarda la pittura profana si deve dire che la disinvoltura con cui Tiziano rappresenta l’abbraccio erotico di Marte che allunga una mano sotto le natiche di Venere nel dipinto del Kunsthistoriches, come anche nella tela del Prado con Venere Cupido e un suonatore di organo che rischia il torcicollo per gettare gli occhi sulle grazie della dea, ecco, questa disinibita capacità dei pittori veneziani di corrispondere alle richieste ancor più disinibite della committenza in Peterzano si ferma a una disincarnata celebrazione della bellezza di Venere, dove al massimo un velo trasparente e leggero come una onda di fumo diafano ricopre il pube (proveniente da Copenhagen) oppure, nella pur bella tela di Brera, il sonno della dea resta indisturbato da due satiri che sembrano allocchi in contraddizione con se stessi.

Peterzano è di Venezia, ma la sua indole non sembra tollerare l’aria già libertina che tira nella città dei Dogi, e forse fu questo che lo spinse verso la Lombardia borromaica, quella pauperista e penitenziale. Un decennio dopo Caravaggio entrerà nella sua bottega, e il ragazzo geniale, ambizioso e suscettibile verso il proprio genio come avrà reagito agli ordini del Peterzano? Sembra che fosse diligente, e il maestro gli avrà messo sul tavolo i suoi disegni e gli avrà detto: rifalli uguali, insistendo fino alla noia. Lui stesso, Simone, li usava come spunti da riutilizzare in opere diverse per soggetto.

Il disegno dunque sarà stato per il giovane una dura e ineludibile disciplina, e chi sostiene che Caravaggio abbia saltato questa formazione, è fuori dal mondo. Era solo l’inizio, poi ancora fatica per apprendere il mestiere pittorico (non sono così convinto – come scrive la Terzaghi – che, non eseguendo opere ad affresco in quel periodo, Peterzano abbia mancato di far fare esperienza di questo al giovane allievo, anzi come minimo gli avrà detto di andare a San Maurizio e alla Certosa per capire che la pittura su muro e quella su tela sono quasi all’opposto, anche come mestiere).

Per concludere: una mostra su Peterzano e un catalogo importante per fare il punto sulle acquisizioni storiche riguardanti il pittore, ma anche una promessa nel titolo poi non mantenuta nell’arricchire le nostre conoscenze sull’importanza di Peterzano per Caravagggio. A dirla tutta, questa era la cosa più urgente oggi: Peterzano è schiacciato fin dal titolo fra due fuori classe, rispetto ai quali lui è un buon pittore, ma non un genio. Perché negargli il lusso di dimostrare il peso che ebbe invece sulla nascita di un genio? Come certi padri d’arte che allevano figli stellari, vedi Giovanni Santi e l’enfant prodige Raffaello.

Bergamo, Accademia Carrara
Peterzano. Allievo di Tiziano, maestro di Caravaggio
Fino al 17 maggio

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