sabato 14 novembre 2020
La nostra percezione dell’arcobaleno avviene soltanto se si avvera una data condizione spaziale: la presenza è frutto di un incontro
Arcobaleno a Yellowstone

Arcobaleno a Yellowstone - Todd Cravens / Unsplash

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Il discrimine dell’esistenza è la presenza. Presenza è la traduzione fisica della corporeità. È noto che una parola può essere piegata a significati che si contraddicono. Una di queste è la parola corpo. Apparentemente chiara e definita, è luogo privilegiato di ambiguità. Corpo è la presenza del tutto in tutte le sue forme. Al di fuori di questo ente unitario e composito non vi è realtà. Non vi è esistenza.

Ma la parola corpo può essere fraintesa. Erroneamente identificata con le sue manifestazioni più immediate. Il termine che mi sembra più adatto a definire la molteplicità delle forme assunte dal corpo è corporeità, che riassume bene le infinite declinazioni dell’esistere. Tutte concrete, tutte sullo stesso piano. Non vi è gerarchia tra i vari stati della corporeità. Non vi è un modo di esistenza di lignaggio superiore agli altri. La corporeità è tutta meravigliosa e insieme ordinaria. Presenza è certamente corporeità.

Ma è un falso sillogismo dire che tutto è presenza, quando tutto è corporeità. Se non vi è lignaggio nelle categorie dell’esistenza vi è certamente una gradazione di intensità. Esistono livelli di esistenza che non raggiungono la trama della percezione, ed è come non esistessero. La presenza è il livello di intensità di corporeità sufficiente ad attivarne la percezione. Quando questa intensità supera la soglia critica allora ci interroga direttamente, ci inquieta, ci allieta, ci sconvolge o ci conferma.

Qualche giorno fa ho rivisto un arcobaleno, la più infantile delle immagini di riconciliazione, comunque sempre un po’ miracolosa. Ho realizzato d’improvviso che l’arcobaleno incarna perfettamente il significato di presenza. Ero in macchina in autostrada dopo una nottata di temporali. La velocità è interessante, consente la sovrapposizione di punti di vista anche distanti in brevissimo tempo. L’arcobaleno muta posizione e forma a seconda di dove ci si trova. Sembra in costante mutamento ma in realtà rivela quanto sia mutevole la mia percezione. Eppure è estremamente concreto. È ubiquitario? Non esattamente, forse sì. Chi lo sa.

L’arcobaleno è, come tutti sanno, il prodotto di una scomposizione della luce attraverso i minuscoli prismi della umidità sospesa. L’umidità è presente ovunque. Nell’area interessata da un temporale trilioni di goccioline sono presenti con vari delta di densità ma senza soluzione di continuità per tutto lo spazio interessato dalla perturbazione. Quindi l’arcobaleno è potenzialmente onnipresente in tutto quel volume. Ogni frazione di angolo e centimetro è occupata da infiniti arcobaleni possibili. Tutti lì, tutti esistenti. Ma non tutti presenti, per noi. Il miracolo semplice e sconcertante della percezione avviene solo quando un raggio di luce interseca i prismi in un dato angolo, relativo al nostro campo visivo, permettendoci di incontrare l’arcobaleno. La presenza potenziale ma non percepibile non è presenza.

La presenza è frutto di un incontro. Che rivela l’evento e lo rende fisico, in qualche modo tangibile. Quell’arcobaleno è la concretezza del significato di presenza. Troppo spesso presenza è una parola vuota. Vuota perché ideologizzata. Non basta la parola presenza e le circonlocuzioni da linguaggio settoriale o settario per dare corpo alla presenza. Se la presenza è sempre presente, come le infinite ipotesi di arcobaleno nelle infinite sospensioni microscopiche di acqua nell’aria, non significa che sia presente per noi. Senza l’incontro con il raggio di luce quella presenza è impercepibile e quindi è come se non ci fosse, perché non possiamo incontrarla.

Fare della presenza una ideologia significa certificarne l’assenza. Poi cosa sia il raggio di luce lo possiamo sperimentare di volta in volta. Certo non è la ripetizione di una litania stanca e priva di senso, utile solo come codice di riconoscimento per coloro che di quel raggio di luce non hanno conosciuto veramente l’esistenza. La presenza è il gesto definitivo e senza repliche della vitalità di una visione, ma non è un oggetto che una volta acquisito è per sempre. Appena l’umidità passa, il raggio di luce cambia o tu ti sposti, l’arcobaleno sparisce. Fino al prossimo temporale.

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