mercoledì 25 maggio 2016
Scianna: «Quegli occhi ipnotizzati dall'azzardo»
COMMENTA E CONDIVIDI
Ci sono i giochi. Quelli da bambini, ma che ci accompagnano per tutta la vita sapendo «che non smettiamo mai di giocare, a qualunque età, e che quasi sempre, per sopravvivere, abbiamo bisogno di vivere la vita stessa come fosse un gioco». E poi c’è il gioco. In una stanza cupa, con una luce rossa soffusa di una sala piena di slot-machine, in cui il gioco diventa altro. Il gioco di «adulti, che qualche volta, patologicamente, diventano prigionieri e vittime dell’azzardo dei loro giochi e non sanno più uscirne». Il grande fotografo Ferdinando Scianna accetta la scommessa non facile che gli propone Giulia Cogoli per “Dialoghi sull’uomo” di Pistoia: fotografare il gioco in tutte le sue forme, fino alla ludopatia, fenomeno sociale sempre più allarmante. Ed ecco la mostra In gioco (nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale, dal 27 maggio al 3 luglio; il catalogo è di Contrasto, pagine 120, euro 24,90), cinquanta fotografie in bianco e nero, realizzate dall’inconfondibile scatto di Scianna, tra il 1962 e il 2007; cinquanta visioni di gioco, in Italia e nel mondo: ragazzini che giocano a calcio a Milano come in un villaggio della Bolivia o dello Yemen, giovani che si tuffano a Sant’Elia, un papà e il suo bimbo in un bagno di Rimini, due signori davanti al domino in un bar egiziano, ragazzi attorno a un flipper in Valtorta o a un falò di Bagheria, fino al “gioco” dei broker in Piazza Affari. Poi una porta lascia intravedere un altro mondo. Un altro gioco. Il tragico mondo dell’azzardo. Il “ privée” dell’evasione e purtroppo della dannazione. È un’installazione, in un montaggio di grandi fotografie – in un inedito Scianna a colori che anticipiamo in pagina – realizzate per farci scendere negli inferi dei luoghi dove il gioco si fa corruzione e l’essere umano si perde. «Non si può fotografare il gioco, come non si può fotografare l’amore: si possono solo fotografare gli amanti. Quelli che sono in gioco, dunque», dice Scianna. Che siano bambini in strada con un pallone o ludopatici davanti alle macchinette. «Mi sono avvicinato a questo mondo con molta prudenza, grazie all’esperienza di chi ogni giorno lavora al problema, come Marco Dotti, e seguendo la meritoria campagna che proprio Avvenire porta avanti da tempo. Alla fine ho trovato la chiave del racconto, girando i luoghi pazzeschi che si celano, a volte non troppo, nelle nostre città – continua Scianna –. Piccoli casinò dietro l’angolo, ma anche una miriade di bar in cui si prende il caffè e come fosse una cosa normale ci si può giocare euro dopo euro la propria vita. Sono stato accompagnato in un posto non lontano della Stazione Tiburtina di Roma che sembrava Las Vegas. Sono rimasto impressionato». Scianna ha voluto ricreare quell’ambiente all’interno della mostra grazie anche alla collaborazione dei volontari delle associazioni. «Una stanza con le luci soffuse, persone sedute davanti a queste macchine di illusioni che riflettono, anche nel giocatore più occasionale, l’ipnosi da gioco d’azzardo. Ho voluto rappresentare quegli occhi allucinati, travolti da un gioco perverso che porta a una spirale drammatica». Giocare, per un giocatore di specchi come Scianna, significa soprattutto «mettersi in gioco». Questo dovrebbe fare chi si abbandona alle slot-machine che spezzano (anche nel percorso della mostra e quindi obbligano alla riflessione) la gioia del gioco. Il gioco che «sa regalare un sorriso persino a una bambina di un povero villaggio del Vietnam, felice con semplici triangolini di legno in mano». E ci fa sperare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: