martedì 11 dicembre 2018
È possibile in nome della libera espressione mortificare e deridere i propri simili? Un dibattito su libertà, critica, rispetto della persona e della fede
Corrado Guzzanti è padre Pizzarro

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Che la satira sia comunque una creativa manifestazione della libertà di espressione e possa persino giustificarsi come bisogno di riscatto individuale e collettivo e implichi quello spirito di ironia che, come ha scritto Luigi De Salvia, «è forse una delle manifestazioni di creatività fulminea più sorprendenti ed efficaci che qualifica l’intelligenza umana», è indubbio. Ma di quale libertà si parla e di quale riscatto? È possibile in nome della libera espressione mortificare e deridere i propri simili? Qual è in particolare il limite della satira religiosa?

Il tema, sappiamo, è venuto alla ribalta dopo le drammatiche vicende di “Charlie Hebdo”. Ne sono derivati interminabili dibattiti. Spesso tuttavia caratterizzati dalla semplice presa di posizione, pro e contro la libertà dell’artista, senza indagare a fondo il significato del linguaggio satirico.

Un interessante volume da poco uscito, curato da Ambrogio Bongiovanni ( Satira e religioni, L’ironia salverà il mondo?, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2018, euro 20), centra la questione muovendo da un’indagine di sociologia religiosa ispirata da un presupposto etico e morale.

Il libro è articolato in diversi contributi esemplificativi di contesti confessionali differenti: il teologo Leo Lefebure analizza la questione nell’ambito nordamericano, l’imam Yahya Pallavicini in quello islamico, la professoressa Reeta Bagchi nella cultura religiosa indiana, l’esperto di indologia Aloysius Pieris nella 'religiosità cosmica' del buddhismo popolare.

Muovendo da questi esempi il volume sviluppa il tema nelle sue motivazioni psico-sociali, analizzandolo non solo nella dinamica interconfessionale, ma anche all’interno di una stessa confessione, e precisando come la satira religiosa sia non di rado espressione di ignoranza della religione dell’altro. Di questo aspetto si occupa la storica Claudia Santi. La questione ha evidenti risvolti giuridici. È lo stesso curatore ad analizzarli, approfondendo gli ambiti della «attuazione e minaccia della libertà religiosa», sottolineando il difficile equilibrio tra libertà di espressione e rispetto della fede.

La perimetrazione dei rapporti tra satira e religione offre, per altro verso, spunti di indagine che non riguardano solo l’identità di un credo, ma anche i suoi legami col mondo politico, sociale e culturale in cui si colloca. È inevitabile, ad esempio, che gli aneliti di libertà di espressione si incrocino con gli obiettivi di controllo da parte del potere. Ciò vale anche per i contesti religiosi, dentro e oltre i suoi ambiti propriamente dottrinali. Il volume è pregevole soprattutto perché al di là degli esempi riportati apre lo sguardo sul tema nella sua ampiezza e senza condizionamenti, lasciando il dibattito aperto. Non a caso la parola conclusiva del testo, affidata allo studioso Enrico Casale, è centrata su tre interviste: a Dario Fo, Moni Ovadia e Gioele Dix. L’arte salverà il mondo, certamente. Ma quale arte?

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