giovedì 20 febbraio 2014
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Ci voleva il soccorso di Claudio Baglioni, dopo ben due ore di spettacolo, per scaldare questo 64mo  Festival di Sanremo con l’effetto karaoke delle sue grandi hit e togliere Fazio dall’impasse di un festival partito col piede sbagliato. Un’infilata di magliette fine e treni per l’America senza fermate, che nella seconda serata fanno cantare a squarciagola l’Ariston e il pubblico a casa e fanno tirare a Fazio un sospiro di sollievo. Sanremo, insomma, torna ad essere, almeno per 20 minuti la grande festa della musica che dovrebbe essere, ma che ancora non è stata. E il confronto con l’infilata delle canzoni in gara, ahimè, non regge, nonostante alcune eccezioni ed una generale gradevolezza dei brani, dove si fanno notare la grinta della favorita Noemi, tallonata dal passionale  Francesco Renga, e le emozioni a sorpresa del giovane Enzo Rubino, la delicatezza di Riccardo Sinigallia, il folk di Ron e il brano dedicato al figlio di Francesco Sarcina.  Una gara che, però, non si lega con lo stile amarcord scelto per connotare la serata, un gioco che stavolta non riesce troppo bene a Fazio. Perché se è buona l’idea di fare aprire il festival al vero maestro Alberto Manzi, con le immagini in bianco e nero del mitico “Non è mai troppo tardi”, programma simbolo dell’autentico servizio pubblico, la comparsata delle arzille e sgambettanti gemelle Kessler scivola nell’effetto Paolo Limiti. E lo sketch con la tenace Franca Valeri che a 93 anni si dona con generosità al pubblico, con uno spirito che va oltre le difficoltà fisiche, commuove, ma fa anche riflettere. Forse sarebbe l’ora che la nostra tv la smettesse di celebrare se stessa, e cercasse nuove vie per rielaborare con intelligenza il suo passato. Tra le righe ricorre il tema della bellezza, il leitmotiv di questo Festival, declinato da Fazio e la Littizzetto in un garbato dialogo, in cui si dice anche che «la bellezza è vedere un barista che toglie dal suo locale le slot machine perché stufo di vedere i pensionati che si giocano la pensione». In una serata così, la presenza del controverso cantautore Rufus Wainwright, è davvero un dipiù e viene piazzata in coda come spartiacque con la gara dei giovani che, poveretti, finisce come al solito in piena notte. A Sanremo Wainwright sta opportunamente alla larga dal brano blasfemo contestato, puntando sui Beatles e su una delle sue migliori canzoni. Ma più che per la sua indubbia qualità musicale, il cantautore è funzionale a Fazio in quanto icona del movimento gay (l’artista è sposato col suo compagno con cui cresce una figlia). Ma è inutile: l’escamotage di buttare là in corner un appello al diritto agli affetti degli omosessuali non riuscirà a risollevare un Festival che fatica a trovare una sua identità.
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