domenica 14 aprile 2019
Venne riconosciuto per la prima volta allo storiografo Marcantonio Sabellico. Eppure negli stessi anni fu negato al pittore Albrecht Dürer
Immagine di una stamperia a Parigi in una miniatura del XVI secolo

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Il copyright è roba vecchia, anzi, vecchissima. Ha 533 anni, ma li porta benissimo, visto il dibattito che è stato in grado di suscitare al Parlamento europeo. Tanti sono gli anni che ci separano da quel che viene considerato il primo diritto d’autore della storia, concesso a Venezia nel 1486 a beneficio degli scritti di Marcantonio Sabellico, storiografo ufficiale della Serenissima repubblica. Per la verità, le cose non stavano esattamente come oggi, ovvero non era prevista una corresponsione di diritti in denaro in caso di riproduzione, ma si concedeva una protezione contro le copie illegali dell’opera, a Venezia e nei territori veneziani. La pena prevista dal “privilegio” (così si chiamava) del 1° settembre 1486 era un multone di 500 ducati (17 chili e mezzo d’oro, visto che ogni ducato pesava 3,5 grammi). Il diritto d’autore viene rinforzato da un nuovo privilegio, concesso il 18 maggio 1847, ovvero tre giorni prima che l’opera venga pubblicata. Tra le condizioni previste nel primo decreto c’è anche quella che l’autore possa avvalersi di uno stampatore di sua fiducia e la scelta era caduta su Andrea Torresani, ovvero su colui che diventerà suocero di Aldo Manuzio, l’artefice della rivoluzione del libro di inizio Cinquecento (nonché vittima di continue e ripetute falsificazioni).

L’opera alla quale viene concesso tale privilegio si intitola Historiae rerum Venetarum ed è la prima storia ufficiale della Serenissima repubblica. I due fattori – storia ufficiale e protezione – sono legati fra loro: la tutela viene accordata proprio in virtù del carattere pubblico di Rerum Venetarum. Venezia arriva in ritardo alla storiografia ufficiale rispetto agli altri Stati dell’epoca, ma avere uno storico stipendiato dallo Stato era un fattore di indubbio prestigio e i veneziani si erano resi conto di non poterne fare a meno. È molto probabile, anche se non lo sappiamo con precisione, che il lavoro di Sabellico all’inizio non avesse queste caratteristiche di storia pubblica, ma abbia acquisito il carattere dell’ufficialità soltanto in corso d’opera. Sabellico è lo pseudonimo di Marcantonio Coccio, nato nel 1436 a Vicovaro, non lontano da Roma. Si firmerà Sabellico per riferirsi al fatto di provenire dalla regione dei Sabini. Studia a Roma e si sposta nell’Italia settentrionale al seguito di Angelo Fasolo, vescovo di Feltre, nonché vicario del patriarca di Aquileia, la cui cattedra al tempo aveva sede a Udine. Proprio nella città friulana, territorio della Serenissima da una cinquantina d’anni, nel 1473 comincia a insegnare e a scrivere, in latino, le sue prime opere letterarie di carattere storico con uno stile che oggi potremmo definire divulgativo. Nel 1494 si trasferisce a Venezia, dove diventa responsabile della biblioteca di San Marco, la futura Marciana. Quello della protezione del diritto d’autore è un tema molto sentito all’epoca, perché vigeva una totale anarchia (che comunque non verrà meno neanche con l’affermarsi del copyright).

Sabellico muore nel 1506, lo stesso anno in cui viene a Venezia l’incisore e pittore tedesco Albrecht Dürer. Non si sa con precisione perché si sia spostato da Norimberga alla laguna, ma è molto probabile che fosse proprio per una storia di falsificazioni che vede coinvolto l’incisore bolognese Marcantonio Raimondi. Questi aveva comprato e riprodotto a Venezia, con tanto di monogramma A D, trentasei xilografie della serie Vita della Vergine, realizzate dall’artista bavarese. Ne parla diffusamente Giorgio Vasari, nelle sue Vite: «Così cominciò a contraffare di quegli intagli per novità e bellezza loro erano in tanta riputazione » e in più «fattovi il segno che Alberto faceva nelle sue opere, cioè questo A D erano credute d’Alberto». Il tedesco allora trascina l’italiano davanti alla signoria, ma l’unico risultato ottenuto è che Raimondi non possa più firmare le incisioni con la sigla di Dürer. La cosa tuttavia non deve avere avuto gran seguito perché Marcantonio Raimondi se ne va quasi subito a Roma. Comunque, come si vede, gli stessi organi di governo veneziani che avevano accordato l’innovativa protezione a Sabellico, sono molto più restii a fare altrettanto con Dürer. Negli stessi anni, lo si è accennato, le edizioni di Aldo Manuzio, compreso il carattere corsivo da lui inventato, venivano ampiamente contraffatte, soprattutto a Lione, che era diventato un vero e proprio centro di stampa e di spaccio di aldine falsificate. Allora come oggi, il copyright non basta da solo a evitare il pericolo delle contraffazioni e della mancata corresponsione delle royalties. Bisogna che ci sia un’autorità politica ben intenzionata a far valere quei diritti.

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