domenica 1 aprile 2018
Alla Casa dei Tre Oci una retrospettiva sul fotografo che ha magnificato la laguna veneta. Dalle prime foto nella Sicilia più cruda agli scatti in giro per il mondo. La sua personale idea di bellezza
Isola di San Giacomo in Paludo, 2005 (© Fondazione Fulvio Roiter)

Isola di San Giacomo in Paludo, 2005 (© Fondazione Fulvio Roiter)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Arrivò così il 1953. Mio padre diventava sempre meno tollerante e mi pose un autaut a breve scadenza: o me ne tornavo alla chimica oppure la mia passione per la fotografia doveva diventare redditizia. Ero a un bivio. Chiesi un’ultima chance. Questa: di offrirmi il minimo dei mezzi e di lasciarmi andare in Sicilia». Fulvio Roiter dall’entroterra veneziano di Meolo vuole andare lontano per inseguire il suo sogno. In altre terre e altri mari. Da Venezia alla Sicilia. In sella a un mitico Garelli Mosquito che spedì nell’isola per poter poi vagare lì liberamente per quasi due mesi. L’omaggio della sua città, a due anni dalla scomparsa, inizia da quel viaggio. La prima foto della mostra allestita ai Tre Oci, sull’isola della Giudecca – Fulvio Roiter. Fotografie, 1948-2007 (a cura di Denis Curti, catalogo Marsilio) – è quella di un minatore in una zolfara dell’entroterra siciliano. Nudo - come stavano i lavoratori costretti a quel caldo infernale -, scalzo, muscoloso e sporco, mentre spinge un carrello nel buio degli abissi, nel ventre infuocato della Sicilia, intriso dall’odore acre e pungente che emana il minerale. Roiter è con i minatori nelle viscere della terra prima di riemergere, faticosamente, alla ricerca della luce. Per scoprire dove porta il suo sogno. Cosa c’è in superficie. Come Ciaula di Pirandello: «Eccola, eccola là, eccola là, la luna. C’era la luna! La luna! E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, della valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore». Eccola la luna. Eccola la luce della fotografia per Fulvio Roiter, che da lì può cominciare il suo viaggio per vedere la luna dalle tante prospettive del mondo. Fra continue partenze e continui ritorni nella sua città. Da Venezia a Venezia. Fra i suoi canali, le maree, il carnevale, la gente, a cui dedicherà i libri più belli, il vero scopo dei suoi progetti fotografici. A lui interessava comporre libri, pubblicare, raccontare compiutamente un’idea e un luogo. Come Essere Venezia, un caso editoriale per la fotografia, che ha venduto, dal 1977 (anno di uscita) a oggi, un milione di copie. È Fulvio Roiter che ha contribuito alla diffusione del mito di Venezia nel mondo, rappresentandola come città da cartolina. Ma non solo. Perché in questo viaggio nell’opera di Roiter alla Casa dei Tre Oci, si possono scoprire anche visioni inedite. Inaspettate. Sorprendenti. Che aiutano a guardare il fotografo veneziano con occhi diversi, più profondi.

E poi c’è il mondo, quello meno conosciuto di Roiter. Ci sono le fotografie dei suoi viaggi in Africa (in Tunisia, in Costa d’Avorio, ad Agadez, la porta del deserto), nell’America amazzonica e quella musicale di New Orleans, in Europa, dalla nebbia del nord, in Belgio, ai caldi Portogallo e Spagna. «Tutto con una fotografia che non era assillata dall’istante, ma dal pensiero – dice Denis Curti –. Il desiderio di raccontare il mondo attraverso un attrito costante, senza mediazioni e senza menzogne. Roiter ritornava più volte nei soggetti. Aspettava la luce giusta, aspettava la pulizia dello scatto. Come quando in Andalusia si era innamorato dell’immagine di una donna incinta con suo marito che teneva un bimbo in un marsupio. E voleva realizzare l’idea “del dentro e del fuori”, di quello che c’è e di quello che verrà. Fece con- tinui avanti indietro finché non riuscì a scattare la foto come voleva lui».

C’è una parola che lega tutto il lavoro del fotografo veneziano: è «bellezza». L’infinita bellezza che Roiter cercava. Nei luoghi, nei volti della gente. E nella donna, icona di bellezza, come si può ammirare in una piccola e inedita sezione dedicata a dei nudi femminili classicheggianti, marmorei, raffinati che restituiscono armonia a forme perfette. Sublimi. «Fulvio Roiter, la Bellezza non l’ha cercata – scrive nel catalogo lo storico e critico Italo Zannier – ma l’ha costruita e definita in immagine con il suo pensiero ideologico, nel lungo e inesausto itinerario di fotografo, iniziato a Meolo e nella “bella” Venezia, e poi in Sicilia e via verso l’Umbria e in cento altre parti del mondo, alla ricerca della sua idea di bellezza che lui ha fissato nell’incantesimo di migliaia di immagini definendo spesso una nuova bellezza del mondo. È stato – continua Zannier – uno splendido illustratore e un poeta senza titubanze, con l’entusiasmo aggressivo ma sorridente di un emigrante ottimista che fugge dalla amata campagna veneta con l’obiettivo puntato verso gli spazi luminosi dell’immagine fotografica»

La vita professionale di Roiter è anche una vita d’amore con la moglie, Lou Embo, una fotografa belga, che incontra a Bruges, la piccola Venezia delle Fiandre. È lì che decidono di intraprendere il loro percorso insieme, a due. Di unirsi in matrimonio. Lei portò in dote la sua camera oscura, con cui iniziare una vita di cuore e di fotografia. Di viaggi e di chimica, di passioni condivise e di libri. Di foto e di parole. «Può una parola così piccola - “foto” - diventare così grande? Possono due sillabe riuscire a portarti in mondi lontani, in posti segreti? Possono raccontarti una favola intima e silenziosa? Sì, possono», ammette Jasmine Moro Roiter, giovane nipote del fotografo in un emozionante ricordo del nonno. Sì, le foto possono regalare sorprese straordinarie. Possono trasportarci in mondi lontanissimi, pur restando fermi. Ed emozionarci.

Nel percorrere la mostra ai Tre Oci, nello sfogliare i suoi quasi cento libri, le visioni che emozionano non mancano. Si nota un amore viscerale per la sua città. Rappresentata in tutti i colori e in tutte le sue manifestazioni. «Dopo tanti anni di fotografie a Venezia – ricorda la moglie – si meravigliava ancora di scoprire nuovi aspetti nelle stesse strade. Il suo motore è stato sempre la bellezza, l’essenzialità, cercata senza superbia. Amava ripetere: “Si dice che quando vivi in un posto, finisci per non vederlo più. L’abitudine distrugge l’occhio, ma a me salva l’emozione”. E la curiosità, aggiungo io».

Ora Venezia celebra il suo fotografo, si “riconcilia” con l’artista dal carattere non facile, con un percorso in 200 foto per lo più vintage. Stampe dello stesso Roiter, della famiglia, della Fondazione a lui dedicata e del circolo La Gondola che Roiter frequentava con Paolo Monti. Molto bianco nero e qualche fiammata di colore, forse più marginale nella mostra rispetto a quanto lo abbia caratterizzato nella sua opera, ma certamente significativa. Come il Leone in festa fra i fuochi d’artificio, la Casa di Bepi a Burano, le maschere del Carnevale, i riflessi dell’acqua alta, il caffè Florian, l’Isola di San Giacomo in Paludo, gli innamorati a Rio di San Boldo o quel mare della laguna dipinto di rosso sangue, carico di sole al tramonto, di energia, di potenza, con un gabbiano che sembra un doge. In attesa di un’onda che accompagni il suo volo. Verso città e persone da incontrare e raccontare. Per «essere Venezia». Ma ovunque. Come nel centro della Sicilia, fra i minatori di una zolfara. E lì scoprire la luce abbagliante della luna. La luce della fotografia che ha sempre guidato Fulvio Roiter.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: