mercoledì 20 gennaio 2010
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Fu veramente scandalosa la morte del cardinale Jean Daniélou (1905-1974) o vi fu, in quel drammatico e apparentemente «scabroso» decesso, una traccia evangelica, capace di scalfire un certo conformismo borghese e benpensante? È l’interrogativo portante su cui si snoda la riflessione del giornalista e scrittore Paolo Giuntella, scomparso più di un anno fa a causa di una lunga malattia, nel libro uscito postumo La fedeltà, trasgressione e follia per il mondo (Il Margine, pp. 126, euro 9,50). Giuntella torna in queste dense pagine alla morte improvvisa del teologo gesuita francese, e scrive: «Daniélou cardinale e accademico di Francia, in visita alla Maddalena, è stato stroncato dallo Spirito Santo in condizioni esteriori di apparente ambiguità (e invece interiori di santità e carità) perché perdesse la sua vita, al prezzo della sua onorabilità, e acquistasse uno spicchio di cielo per tutti noi, costringendoci a gettare nel mondezzaio il nostro stupido moralismo». In effetti Jean Daniélou, insigne studioso delle origini del cristianesimo e perito al Concilio Vaticano II, morì il 20 maggio 1974, a 69 anni, sulla soglia dell’appartamento parigino di una donna di dubbia reputazione. Quella morte apparentemente obbrobriosa per un principe della Chiesa e membro dell’Académie française avvenuta a causa di un collasso sull’uscio dell’appartamento dell’avvenente Madame Santoni, detta Mimi, per anni soubrette di un cabaret, fornì soprattutto alla stampa scandalistica d’Oltralpe – capitanata dal settimanale d’assalto Le Canard enchainé – abbondanti motivi per creare una fitta e ambigua rete di insinuazioni e di ombre, mai realmente provate, su uno dei teologi più grandi del Novecento e uno dei più stimati da Paolo VI, che lo creò non a caso cardinale nel 1969. Una rete di insinuazioni che trovò qualche sponda persino nella Compagnia di Gesù, mentre la difesa della Conferenza episcopale francese (ma anche di autorevoli quotidiani come La Croix e Le Figaro) fu compatta. Dopo la lunga ondata di dicerie sulla «morte umiliata» del cardinale francese si riuscì ad appurare, a mente fredda, una verità molto più semplice, ma proprio per questo difficile e scomoda da accettare da parte di una certa cultura benpensante: molto tempo dell’apostolato del padre Daniélou era speso per aiutare (anche economicamente) e redimere le persone più lontane dalla Chiesa, soprattutto nella pratica dei sacramenti: dalle prostitute agli artisti, dai malati psichici agli omosessuali, in ultimo coloro che vengono bollati come i reietti della società. Fu la stessa signora Santoni a confermare ai media francesi la completa innocenza di quel rapporto con il grande intellettuale francese. A suffragio di questo stile, da cattolico «irregolare», per molti versi simile al suo confratello Michel de Certeau, fanno ancora oggi vivida testimonianza le riflessioni dello stesso Daniélou racchiuse nel bellissimo saggio, una sorta di testamento, Le memorie, uscito postumo (in Italia nel 1975 per la Sei), in cui egli spiega il senso di un apostolato «anticonformista» e «non clericale» destinato ai lontani. Di grande interesse sono anche le confidenze consegnate al grande amico, l’orientalista e teologo Louis Massignon, sul suo costante servizio nei quartieri dimenticati di Parigi per i «fratelli perduti». Ma a spiegare lo stile di vita evangelico fuori dal comune del gesuita Daniélou parlano ancora oggi le sue note del 1938, racchiuse nei Diari spirituali (editi da Piemme nel 1998), in cui egli a causa di Cristo si sente pronto ad «accettare di essere disonorato, anche agli occhi di coloro che amo, se Egli lo permette». Il 20 maggio di 36 anni dopo il suo amico e successore all’Académie française, il domenicano Ambroise-Marie Robert Carré, facendo riferimento a quella nota dei suoi Diari, affermò non a caso: «Moriva in condizioni che odiose calunnie sfruttarono. Il suo voto eroico era esaudito». Una ricostruzione sullo stile di redenzione dell’apostolato di questo gesuita sui generis lo si trova, in una chiave ovviamente letteraria, nel bel romanzo scritto nel 1998 da Angelo Lodi La Ragazza e il cardinale (Edizioni Leoni, pp. 108). Il libro di Lodi, per molti versi simile alle conclusioni a cui arriva Giuntella, intravede nell’incontro tra il porporato e la ragazza la rivelazione di qualcosa di nuovo: misericordia per lui e redenzione per lei. Ma in quel lontano lunedì del 1974 fu soprattutto numerosa la schiera di persone che difese l’onorabilità di Daniélou, tra queste, il giovane frate domenicano e poi divenuto maestro generale del suo Ordine, Timothy Radcliffe, i cardinali Gabriel-Marie Garrone e Charles Journet, e soprattutto il compagno di studi di una vita, il gesuita e poi cardinale Henri de Lubac.La testimonianza di quest’ultimo si evince da un libro, Memoria intorno alle mie opere (Jaca Book, 1992), in cui egli dedica un passaggio all’amato confratello. L’anziano gesuita racconta la grande austerità e morigeratezza «priva di qualsiasi fariseismo» in cui il cardinale Daniélou viveva a Parigi, «senza un’automobile né una segretaria». Ma nella sua requisitoria il padre De Lubac si sofferma soprattutto sulla solitudine di Daniélou e sulla «campagna diffamatrice da parte dei confratelli» simili a «una muta feroce»: «Egli rimase sorridente, servizievole fraterno. In lui non ci fu amarezza e rancore. In questo fu soprattutto evangelico. Proprio per questo l’ho amato di più». A riconoscere la grande autorevolezza di studioso e di teologo è stato recentemente Benedetto XVI, che conobbe da vicino il teologo francese durante le sessioni del concilio Vaticano II. Papa Ratzinger lo ha citato per ben due volte nel suo libro Gesù di Nazaret e ne ha ricordato la grandezza di «eminente studioso dei Padri» durante la catechesi dedicata ad Eusebio di Cesarea il 13 giugno 2007. Un riconoscimento che trova conferma nell’attualità del suo pensiero. Infatti, pur a molti anni dalla loro prima apparizione in francese, vengono ora ripubblicati due saggi che fecero epoca come Dio e noi (Rizzoli, pp. 224, euro 9,20, ) e La Risurrezione (Cantagalli, pp.134, euro 10,90) e presto sarà in libreria per le Dehoniane di Bologna anche un altro testo molto in voga negli anni Settanta, Messaggio evangelico e cultura ellenistica. Tra coloro che non si sono mai arresi nella difesa della memoria del cardinale francese, grazie anche ai loro ricordi, ci sono tuttora allievi di Daniélou come i teologi gesuiti Joseph Paramelle, Michel Sales e in particolare il grande filosofo quasi novantenne, studioso di Maurice Blondel, Xavier Tilliette: «Qualcosa si è spezzato in me all’epoca della morte umiliata del cardinale Daniélou. Fu un episodio penoso – ha dichiarato recentemente Tilliette –. Ero corso al soccorso dell’amico e mi si intimò di tacere. Presunto colpevole, il grande apostolo e scienziato ebbe la reputazione macchiata per molto tempo. Ormai le calunnie sono cessate, ma mi hanno fatto dubitare della Compagnia e del suo spirito fraterno». Nel ventennale della scomparsa sulla rivista France CatholiqueLouis Henri Parias lo definì amabilmente «divino impaziente», pensando certo anche al triste epilogo da cronaca nera di cui fu vittima inconsapevole. Un destino forse annunciato nell’ultimo articolo di Daniélou sull’Osservatore Romano, apparso poco tempo prima della sua morte: «Quel che chiediamo ai teologi non è di annunciare le loro idee, ma Gesù Cristo».
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