lunedì 31 marzo 2014
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Il 30 marzo del 1984, esattamente trent’anni fa, si spegneva all’età di ottant’anni ad Innsbruck in Austria il gesuita tedesco – originario di Friburgo – Karl Rahner: probabilmente il più complesso, heideggeriano ed esistenzialista dei teologi del Novecento, il pensatore definito da Juan Alfaro «il massimo ispiratore del Concilio».A tanti anni di distanza dalla morte rimangono ancora attuali molte delle sue opere, come Uditori della Parola, La fatica di credere, Corso fondamentale sulla fede, o ancora Spirito nel mondo o lo scritto ritenuto da molti come il suo testamento spirituale, pensato per i giovani: Discorso di Ignazio ad un gesuita odierno. Stelle polari della sua ricerca saranno soprattutto figure del calibro di Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loyola, Joseph Maréchal e Martin Heidegger. Un pensiero, quello di Karl Rahner, costruito sulle spalle di questi maestri ma anche incentrato sull’attenzione al trascendente, alle cose ultime (si pensi solo alle sue pagine dedicate alla teologia della morte), alla centralità degli Esercizi spirituali nella sua vita e soprattutto su una “cristologia antropologica”.Di questo è convinto il teologo e arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna: «La sua filosofia religiosa ha voluto riconciliare il soggettivismo moderno con l’esperienza della fede. Contro la volontà di Kant di confinare la conoscenza speculativa nel solo dominio del sensibile, Rahner ha voluto dimostrare che l’uomo, in quanto spirito, è radicalmente aperto a un orizzonte trascendente e può sperimentare questa apertura per mezzo della sua conoscenza del mondo sensibile. La sua teologia, sul piano ontologico e antropologico, ha voluto sondare e analizzare le condizioni di possibilità, per l’uomo, di sperimentare nell’intimo della propria esistenza, un’apertura al mistero sacro e assoluto di Dio. Secondo Rahner, se Dio si rivela a ogni uomo, ogni uomo deve essere messo in grado di comprendere e interpretare questa rivelazione».Un giudizio, quello di monsignor Sanna, che trova corrispondenza, seppur da una prospettiva diversa, in un altro profondo conoscitore della teologia rahneriana, Rosino Gibellini: «Ha insegnato a vedere in ogni tema teologico ciò che è universalmente umano, in quanto alleanza con la ragione appartiene fin dall’inizio alla dinamica missionaria del Vangelo. Pratica questa alleanza in ogni questione teologica, e questo metodo dà una suggestiva profondità alle sue pagine».A trent’anni dalla sua scomparsa è forse giusto accennare all’impronta indiretta che Karl Rahner, il perito conciliare del cardinale di Vienna Franz König, seppe imprimere su documenti fondamentali del Vaticano II come la Lumen gentium, la Gaudium et spes o la Dei Verbum. «Sono stati gli anni del Concilio – rivela il discepolo e biografo, il gesuita tedesco Karl Heinz Neufeld – di grande lavoro e di collaborazione con l’allora giovane teologo bavarese Joseph Ratzinger. Tra le questioni di maggiore fibrillazione, nell’aula conciliare, vi era quella del primato e dell’episcopato e i due teologi si trovarono a offrire, tra l’altro, un loro originale contributo sul tema della Scrittura e della tradizione».L’arcivescovo Sanna si sofferma sugli aspetti meno battuti della complessa biografia anche mistica di Rahner, sulla sua «teologia feriale, esistenziale e popolare» mai «elitaria», capace anche alla «luce della Parola di Dio» di parlare all’uomo comune di oggi; ed evidenzia l’importanza che il gesuita di Friburgo diede sempre nei suoi scritti alla “dimensione esperienziale di Dio”: «Credo che Rahner abbia soprattutto voluto dimostrare che tutti gli uomini possono fare e di fatto fanno l’esperienza di Dio. Per Rahner come pure per Karl Barth, l’esperienza attuale di Dio è – molto più radicalmente e nettamente di altre epoche – un’esperienza della trascendenza che “sdivinizza” il mondo e lascia Dio essere Dio».Neufeld, che fu tra l’altro suo assistente universitario, mette in evidenza alcuni aspetti tra i meno conosciuti della biografia di Rahner: la sua difesa dell’enciclica di Paolo VI sul celibato dei sacerdoti, la Sacerdotalis caelibatus, e la sua rilettura dell’Humanae vitae: «A nome dei vescovi tedeschi collaborò alla stesura di un testo che spiegasse i punti centrali e più difficili sul tema della vita formulati da papa Montini; per lui fu soprattutto importante mettere in evidenza l’importanza di concetti come “misericordia” e “coscienza personale”». E accenna a un particolare: «Ricordo che fece grande scalpore la sua difesa nel 1971 del dogma dell’infallibilità del Papa. Egli formulò un’argomentazione molto raffinata e acuta, preparata con l’allora suo allievo Karl Lehmann per rispondere al saggio di Hans Küng Infallibile? Una domanda del 1970. Riprese molte delle questioni già affrontate con Ratzinger sul tema di “episcopato” e “primato”. Il succo del ragionamento di Rahner era che se un dogma era stato recepito dalla Chiesa e dal Vaticano I non poteva essere cambiato. La sua risposta a Küng colpì soprattutto coloro che lo avevano sempre reclutato come “teologo anti-romano”».Certamente uno dei contributi più originali avvenne per Rahner nel 1965 con la fondazione della rivista internazionale di teologia “Concilium”. «I padri nobili di questa pubblicazione tradotta in tutto il mondo – rivela Gibellini, che è stato direttore dell’edizione italiana fino al 2012 – furono, tra gli altri, Rahner e Congar e tutto questo permise di tenere viva l’eredità e il dibattito attorno al Concilio. Rahner assunse nel primo decennio la direzione della sezione “teologia pratica”, contribuendo così a de-clericalizzare la cosiddetta “teologia pastorale” avendo soprattutto uno sguardo responsabile sul tema dell’evangelizzazione».Il dialogo con i non credenti, gli atei marxisti (con la famosa conferenza di Budapest del 1984) affrontati nel crepuscolo della sua vita o la questione della salvezza per chi cristiano non è saranno le frontiere su cui l’anziano teologo di Friburgo si spingerà per offrire la sua testimonianza e il suo sapere. «Ricordo di aver partecipato ai suoi funerali nell’aprile del 1984 – è la riflessione finale di Gibellini – a Innsbruck. E quello che mi colpì di quella cerimonia fu la distribuzione di un bollettino dedicato alla figura di Rahner e le parole del teologo gesuita dedicate alla trasmissione della fede alle nuove generazioni: l’importanza che dava al “predicare bene” studiando la teologia e della necessità che per questa missione apostolica fossero necessari “uomini vivi, devoti e radicalmente cristiani”. E in fondo in tutto questo c’è il nocciolo fondante della teologia di Karl Rahner, vissuta sempre come strumento di annuncio e missione».
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