
Claudio Ranieri, 73 anni, ex allenatore della Roma, ora consulente del club giallorosso, ha declinato l'offerta di diventare il nuovo ct della Nazionale
Ringraziamo Claudio Ranieri per l’ennesima lezione di stile e di signorilità dimostrata nei confronti del calcio italiano e del Paese reale tutto. La Nazionale ridotta ai minimi termini, dopo aver “licenziato” Luciano Spalletti, che per punizione è dovuto andare in panchina nell’ultima gara di qualificazione ai Mondiali contro la Moldova (sofferta e patetica vittoria azzurra per 2-0), si era rivolta all’aggiustatore massimo del calcio internazionale, “sir”, anzi sor Claudio Ranieri.
Mentre se ne stava nel suo buon ritiro giallorosso di Trigoria, in piena fase di riprogettazione della Roma affidata al suo amico e sodale Gian Piero Gasperini, gli è arrivata la richiesta, piuttosto indecente, della Federcalcio che lo invitava ad assumere l’incarico di nuovo ct, alias di “salvatore della patria pallonara” in palese affanno (specie dopo la debacle con la Norvegia) e non solo di risultati. Ranieri che ogni qual volta chiama il Cagliari o la Roma per spirito patriottico risponde immediatamente “obbedisco”, davanti alla chiamata alle armi dell’Italia si è sentito di dire “no”. E quel suo no, non va certo interpretato come il gran rifiuto di Acerbi alla chiamata di Spalletti o paragonato alle defezioni più o meno strumentali di quei convocabili che ormai da tempo trattano la maglia azzurra alla stregua della casacca della squadra di calcetto del bar sport sotto casa.
Ranieri a 73 anni, da hombre vertical di provata solidità umana ancor prima che sportiva, ha rimandato l’offerta al mittente con un cortesissimo «ringrazio il presidente della Figc Gabriele Gravina per l'opportunità, un grande onore, ma ho riflettuto ed ho deciso di restare a disposizione della Roma nel mio nuovo incarico in modo totale. I Friedkin mi hanno dato il loro pieno supporto e appoggio per qualsiasi decisione avessi preso riguardo alla Nazionale, ma la decisione è solo mia». Gli americani della Roma erano pronti a garantirgli il doppio incarico, quello di consulente principe della società giallorossa e quello di eventuale commissario tecnico. Ma dinanzi a questa armata brancaleone di azzurri a pezzi e sull’orlo di una crisi di nervi, Ranieri deve aver capito che la sua fama di di Super Claudio Bros sarebbe stata quanto mai a rischio.
Dispiace che un totem del football come Ranieri abbia optato per un dignitoso e legittimo “no grazie”, ma comprendiamo anche che non si può continuare a pensare, in maniera assai distorta, a questo allenatore come alla panacea di tutti i mali nazionali. Il paradosso del calcio e anche dell’opinione pubblica nostrana è che ormai pensa a Ranieri come al factotum buono per tutte le necessità e all’uomo giusto per tutte le stagioni. Siamo al punto che, hai un problema in casa con il frigorifero? Nessun problema, chiama l’aggiustatore specializzato Claudio Ranieri. Tuo figlio va male a scuola e non è titolare nella squadra dell’oratorio: alza la cornetta e chiama mastro Ranieri, lui gli parlerà e d’incanto tornerà tutto a posto.
La promozione in A del Cagliari di due anni fa, con conseguente salvezza dei sardi e poi il risanamento miracoloso nell’ultima stagione di una Roma sul baratro, portata al 5° posto con pass per l’Europa League, ha fatto dell’aggiustatore Ranieri un guru assoluto del pallone. Ruolo che il normalizzatore di Testaccio rifiuta da sempre e che non ha fatto suo neppure nella leggendaria stagione 2015-2016 quando con spirito impavido da Braveheart portò il piccolo grande Leicester alla conquista della Premier League. Ranieri calcisticamente si è laureato negli anni '70 nel Catanzaro di Carletto Mazzone, e lì davanti al mare del Lido ha incontrato la donna della sua vita, la signora Franca, e di quella terra di Calabria ha scolpito nella sua mente un detto popolare che racchiude gran parte della sua filosofia di gentiluomo prestato all’intronata routine del calcio italiano: “Chi nasce tondo, non può morire quadrato”. Sarebbe opportuno che questa massima diventasse un mantra esistenziale per tanti dirigenti del calcio azzurro, che, privato anche di un Ranieri, al momento purtroppo sembra destinato a rimanere avvolto nella tenebra.