mercoledì 2 agosto 2023
Venticinque anni fail trionfo a Parigi in un’edizione segnata dallo scandalo Festina. L’ex ds Martinelli:«Molti dimenticano che grazie a lui la corsa francese fu salva»
Marco Pantani (1970-2004) all’arrivo trionfale a Parigi il 2 agosto del 1998

Marco Pantani (1970-2004) all’arrivo trionfale a Parigi il 2 agosto del 1998 - Ansa

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Lui non avrebbe dovuto correre il Tour e la Grande Boucle, ad un certo punto, non sarebbe dovuta arrivare a Parigi. Dal disastro all’estasi in tre settimane di scandali e imprese, gendarmerie e “garde à vu”, scioperi e rilanci, abbandoni e fughe che sono entrate nella storia, soprattutto quella sul Galibier: quella di Marco Pantani. Correva l’anno 1998 e soprattutto correva Marco Pantani, che quella corsa non solo rianimò, ma la salvò da morte certa. Sono passati venticinque anni da quel 2 agosto luminescente e radioso, ma il ricordo di quell’estate infuocata e stordente ci è restata nel cuore nitida e intensa come non mai. «Ricordo tutto alla perfezione: non potrebbe essere diversamente – ci racconta Beppe Martinelli, che di quella Mercatone Uno era il direttore sportivo -. Marco non avrebbe voluto correre quel Tour. Poi ci fu l’improvvisa morte di Luciano Pezzi, presidente e team-manager di quella Mercatone Uno e allora riuscimmo a toccare le corde giuste di Marco che a Luciano era legatissimo. Partimmo con l’intenzione di vincere una o due tappe di montagna e, francamente, nessuno di noi aveva il minimo pensiero rivolto alla maglia gialla».L’inizio, però, non fu dei più semplici. Un avvio in salita, nonostante la strada fosse assolutamente pianeggiante. «Fu così, perché dopo il Giro Marco aveva staccato. Per dodici giorni non toccò la bicicletta: dal circuito di Bologna post Giro a quella telefonata di Marco nella quale mi dice… “ma io non ho la bicicletta”, passarono appunto quasi due settimane, nelle quali Marco fece di tutto fuorché pedalare. Era il 24 giugno, per Marco il discorso era chiuso: c’era da andare solo al mare. Poi il 26 mancò Pezzi e lo convincemmo e partimmo alla volta del Tour, destinazione Dublino. Male in Irlanda (169° a 48” da Boardman, ndr), male nella crono di Correze, nella quale pagò a Ullrich 4 minuti, anche se io lo considerai un successo. Su quelle distanze (58 km, ndr) Marco avrebbe dovuto prenderne quasi il doppio e fu in quel momento che compresi che non eravamo lì per fare i turisti, ma la cosa che più contava è che lo capì lui».Difatti, arriva la vittoria di tappa a Plateau de Beille e, cinque giorni dopo, il volo leggendario sul Galibier che lo portò a Les Deux Alpes e lo proiettarono in cima al Tour in maglia gialla. «Sapevamo che Ullrich era vulnerabile sotto l’aspetto emotivo. Se fossimo riusciti ad isolarlo, sarebbe andato nel panico, come poi successe. Marco era forte, sia di gambe che di testa, in quelle situazioni si esaltava, non c’era bisogno di dirgli nulla, se non accompagnarlo verso il trionfo».In verità, all’inizio, quel viaggio cominciò con un fuoristrada pericoloso. Mancavano solo tre giorni dal via e le squadre erano ormai in viaggio per raggiungere l’Irlanda e scoppia lo scandalo Festina. La squadra di Richard Virenque fu estromessa dalla Grande Boucle con l’accusa pesantissima di doping di squadra. Tutto perché all’alba di quell’8 luglio del 1998, Willy Voet, massaggiatore della Festina, fu fermato alla dogana svizzera con una macchina imbottita di sostanze dopanti. La procura francese aprì subito un’inchiesta, Voet venne interrogato per ore e negò ogni responsabilità, ma chiamò in causa il direttore sportivo Roussel e il medico della squadra Erik Ryckaert. In seguito ci furono fermi che vennero trasformati in arresti e quel Tour non solo partì nel peggiore dei modi, ma proseguì anche peggio, rischiando a più riprese di non arrivare mai a destinazione. Sul traguardo di Aix Les Bains (17° tappa, 29 luglio, ndr) - lo ricordiamo bene - al termine dell'ultima tappa alpina, si presentò un gruppo di corridori rabbioso e dilaniato dal dubbio: continuare o fermarsi? Jalabert e tutta la Once decisero di tornare a casa, così come gli spagnoli della Banesto o i superstiti della Riso Scotti. Erano giorni caldi, in tutti i sensi: la Gendarmerie non ne voleva sapere di allentare la presa. Ogni sera perquisizioni: «così non è possibile andare avanti!», sbottò Jalabert. Pantani era già in maglia gialla, a Parigi mancavano solo quattro giorni. «Il clima era davvero irrespirabile - ricorda Martinelli -, ma il direttore del Tour Jean Marie Leblanc ci chiedeva collaborazione, fiducia e pazienza. Si affidava a Marco, al suo carisma in gruppo, per proseguire il proprio trionfale cammino verso Parigi. Lo implorava: era troppo importante arrivare sui Campi Elisi. Dopo l’impresa sul Galibier, Marco aveva conquistato i cuori di tutti, anche dei tifosi francesi, che erano rimasti estasiati da quell’impresa. Quel 2 agosto Marco vinse perlomeno due volte: per sé stesso e per il Tour. Molti, oggi, se ne sono scordati».

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