giovedì 2 febbraio 2017
La serie della Rai scivola nel “sottogenere obbligato” dell’omosessualità con scene non appropriate alla prima serata
Una famiglia davanti alla televisione (foto Boato)

Una famiglia davanti alla televisione (foto Boato)

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Nel primo episodio c’erano state delle “avvisaglie”. Il tutto era poi rientrato. Le due pizze da asporto, pretesto dell’incontro amoroso tra due donne, erano finite all’ultimo momento nel cassonetto dell’immondizia. Ma l’attrazione per persone del suo stesso sesso da parte dell’agente di polizia Alessandra («Alex») Di Nardo, nella serie di Rai 1 I bastardi di Pizzofalcone, era ormai annunciata. Che poi avesse uno sviluppo era prevedibile, un po’ meno la traduzione così esplicita in alcune scene delle puntate successive. I bastardi di Pizzofalcone (di cui ci siamo occupati nella rubrica “Schermaglie” dopo la prima puntata) è una serie tv prodotta da Clemart Srl in collaborazione con Rai Fiction, tratta dalla saga letteraria dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni che narra le vicende umane di alcuni poliziotti dell’immaginario commissariato partenopeo di Pizzofalcone allontanati da altri uffici per motivi disciplinari. Tra questi, oltre al protagonista Alessandro Gassman nei panni dell’ispettore Lojacono e una mezza dozzina di colleghi, anche la «Alex» interpretata da Simona Tabasco, giovane agente esperta di armi, che vive ancora con i genitori ai quali (succube soprattutto del padre) non ha il coraggio di confessare la propria omosessualità. È vero che ognuno dei componenti la squadra di questo particolare posto di Polizia nasconde una vita privata complicata, comprese le tendenze sessuali, ma l’impressione iniziale era di una concessione alla “modernità”, ovvero al fatto che ormai a certe tematiche la tv sembra non poter rinunciare: i matrimoni in crisi, le separazioni, i divorzi, le famiglie allargate e l’omosessualità.

Andando avanti nelle puntate (ormai ne sono andate in onda cinque su sei) ci siamo accorti che non era così. L’intento era decisamente più ideologico, anche perché quei particolari non aggiungono nulla alla forza di un racconto che si basa pur sempre sulla risoluzione dei casi di omicidio e sulla psicologia dei personaggi. «È ormai evidente che da un po’ di tempo a questa parte anche nelle fiction Rai il racconto è sempre condito da storie di personaggi omosessuali – sottolinea Massimiliano Padula, presidente nazionale dell’Aiart, l’Associazione dei telespettatori –. Dopo Un posto al sole, Un medico in famiglia, È arrivata la felicità, succede anche in questa serie in onda in prima serata sulla prima rete del Servizio pubblico. Scelte narrative di questo tipo – spiega Padula – ingabbiano l’omosessualità in una sorta di “sottogenere obbligato” che invece di “normalizzare” la questione finisce per stereotiparla ulteriormente. Non a caso il personaggio dell’agente Di Nardo rimarca la figura di una donna significativamente maschilizzata sia nella professione che nella vita personale. Inoltre, nella serie diretta da Carlo Carlei c’è l’aggravante dell’ostentazione della sessualità in fascia protetta.

E poco importa che si tratti di un rapporto lesbico o eterosessuale (che peraltro non manca). Quello che è discutibile – conclude il presidente dell’Aiart – è che la Rai viola le regole anzitutto del buon senso mancando di rispetto ai minori e a tutti coloro che credono ancora al prime time come quel tempo della visione da vivere in famiglia». Al punto di vista dei telespettatori, si aggiunge quello dell’esperto che è al tempo stesso un addetto ai lavori. Si tratta di Armando Fumagalli, docente di Semiotica all’Università cattolica di Milano dove dirige un master di scrittura e produzione proprio per le fiction televisive, oltre a collaborare come sceneggiatore con la Lux Vide (la casa di produzione di Don Matteo, Un passo dal cielo, Che Dio ci aiuti,...). In questa veste ha contribuito allo sviluppo di molte miniserie di successo per Rai 1 e Canale 5.

«A proposito de I bastardi di Pizzofalcone, mi sembra – dice Fumagalli – che siamo di fronte a uno di quei casi in cui gli autori italiani hanno voluto copiare quello che va di moda nelle serie televisive americane, senza però tenere conto che quelle serie vanno su canali a pagamento e per pubblici di nicchia (come da noi per le serie Sky) e non sono proposte da reti generaliste come Rai 1. Quello che mi ha colpito, in particolare nella quarta puntata, è che il rapporto fra le due donne (la Di Nardo e la dottoressa della scientifica Rosaria Martone interpretata da Serena Iansiti) è tutto giocato su una seduzione puramente fisica: non parlano neanche, una delle due si spoglia e basta… È una riduzione del rapporto che mi sembra fra l’altro offensiva anche per quanto riguarda le caratteristiche della loro relazione». A giudizio di Fumagalli occorrerebbe inoltre una riflessione «ben più articolata e complessa su come le relazioni omosessuali, checché ne abbiano detto qualche mese fa i nostri legislatori, hanno una serie di problematiche intrinseche (prima fra tutte la non generatività) che le rende non certo un modello da presentare a cuor leggero a un pubblico generalista e con ampia presenza di minori come il pubblico di Rai 1».

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