sabato 28 giugno 2014
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Nessuna celebrazione. Piuttosto un grido: «Mai più la guerra!». Perché di fronte a quella che per Benedetto XV era «l’inutile strage», l’unica voce che si può alzare è quella che chiede pace. Cento anni fa, con l’attentato di Sarajevo nel quale morirono l’erede al trono d’Austria e Ungheria Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, si scatenava la Prima guerra mondiale. Oggi, per fare memoria di tutte le vittime della guerra, in Trentino un’intera giornata (seguita da Radiotre) chiamata Sentiero di pace, che culminerà in un concerto al Teatro Sociale di Trento (alle 21 diretta su Rai 5 e Radiotre): Gaetano d’Espinosa dirige l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai in pagine di Mahler, Schubert e Ravel, ma anche in Sarajevo, partitura commissionata al musicista Premio Oscar Nicola Piovani. «Inizialmente non sapevo se accettare o no: non mi sento per niente adatto a celebrare in musica un avvenimento criminale come la guerra che chiamano Grande, forse nel senso che ha prodotto la grande cifra di 18 milioni di morti. Un evento insensato. Ma poi ho pensato al giorno dell’attentato di Sarajevo, il cui anniversario cade proprio oggi. E allora la musica cambia. È un avvenimento pieno di contraddizioni, di angoscianti interrogativi». Su cosa si è concertato, allora, maestro Piovani? Cosa ha messo in musica? «Ho letto molto riguardo all’attentato di Sarajevo e mi sono reso conto che è stato compiuto da una banda di ragazzi (Gavrilo Princip aveva 19 anni), giovani idealisti, che partivano armati di poche pistole, qualche bomba e pillole di cianuro per togliersi la vita prima di cadere in mano alla polizia. Dei kamikaze, diremmo oggi. Immaginando quella domenica mattina del 1914 ho composto un breve preludio sinfonico, che reca il sottotitolo Preludio a una carneficina, diviso in due parti: prima la tensione per l’imminente gesto cruento, poi un semplice, breve canto funebre, intonato da due trombe poste ai lati dell’orchestra, che si rimbalzano le note di un 'silenzio' per rendere onore a 18 milioni di inutili vittime di una scelleratezza epocale. Nelle ultime due misure della partitura, si udranno le voci di caduti che bisbigliano per tre volte l’invocazione 'Pax'». La guerra è uno dei temi, insieme all’amore, più ricorrenti nella musica classica e in particolare nella lirica. Come raccontarla in un modo inedito? «Raccontare in modo inedito è, credo, l’ambizione di qualunque artista: riuscirci, anche in parte, è tutt’altro che semplice. Ci ho provato. Perché amore e guerra sono i due poli estremi dentro cui passano tutte le dialettiche esistenziali, le narrazioni tragiche, comiche, drammatiche, da Eschilo a Shakespeare, da Kubrick a Woody Allen, da Verdi a De Gregori». Si dice che la musica possa aiutare a imparare la convivenza tra i popoli: da musicista lo ritiene vero? E si sente investito, quando compone, da questa 'missione'? «La musica può aiutare lo sviluppo civile se viene insegnata bene nelle scuole, fin dall’asilo, per far sì che i piccoli imparino a masticare con l’anima la bellezza. Chi ha suonato in un’orchestra anche dilettantistica, infantile, troverà più semplice vivere in una società nel rispetto del prossimo. Componendo musica mi do un’unica dritta morale: quella di essere sincero in quel che scrivo, di mettere il meglio di me in una partitura». Dove farebbe arrivare il «Sentiero di pace » che dà il titolo alla rassegna nella quale si inserisce il concerto di stasera? «Sono tanti i sentieri di guerra del nostro tempo, non c’è che da scegliere. Per motivi personali, ho molto a cuore la causa palestinese. Mi auguro che un sentiero di pace possa presto solcare le terre dei territori palestinesi occupati, quella specie di lager a cielo aperto che è oggi quella martoriata terra. È una questione lacerante e complessa, lo so, ma i politici dovrebbero servire proprio a questo, a risolvere questioni complesse: per fare dichiarazioni pacifiste bastiamo noi artisti».
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