domenica 5 novembre 2023
Parla l’autrice di “Wonder” e “Pony”: «I miei libri cercano di ricordarci che dobbiamo essere la migliore versione di noi stessi. Solo così cambiamo il mondo»
La scrittrice R.J. Palacio

La scrittrice R.J. Palacio - .

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Racconta di sé e del suo lavoro con lo slancio degli entusiasti e un sorriso spontaneo che le illumina gli occhi. E allora capisci da dove J.R. Palacio attinge quella gentilezza che traspare dal suo stile e che, come per osmosi attraversa tutte le sue storie. A cominciare da Wonder il primo romanzo che le ha fatto scalare le classifiche dei bestseller internazionali: oltre 16 milioni di copie vendute nel mondo, oltre un milione solo in Italia (pubblicato da Giunti) e traduzioni in oltre cinquanta Paesi. Ci conosciamo al termine di un viaggio che l’ha portata in alcune città del nostro Paese a condividere con il suo pubblico tre traguardi importanti della sua carriera. I dieci anni gloriosi di Wonder, la presentazione dell’ultimo romanzo Pony e l’anticipazione dell’uscita nel 2024 al cinema di White Bird, il film con Helen Mirren e Gillian Anderson tratto dalla graphic novel Mai più. Per non dimenticare.

Una storia che riporta alla Francia del nazismo e della persecuzione degli ebrei, pubblicata sempre da Giunti nel 2019, scritta e illustrata da lei stessa. Un’arte quella dell’illustrazione che R.J. Palacio, ovvero Raquel Jaramillo (Palacio è lo pseudonimo ispirato al nome della madre) ha affinato per oltre vent’anni nell’editoria disegnando copertine per i libri di tantissimi autori. Che l’opera prima resti nel cuore di uno scrittore va da sé, certo è che Wonder continua dieci anni dopo ad attrarre lettori per il realismo dei personaggi e per quella combinazione di temi che hanno a che fare con la diversità e la normalità, con il desiderio di essere visti e non giudicati, con l’esclusione e l’interesse per l’altro indipendentemente da che faccia ha. «Ma anche, credo – aggiunge R.J. – per quel doppio richiamo, da un lato alla gentilezza come valore forte capace di incidere sulle relazioni e dall’al-tro alla crudeltà degli atteggiamenti da bullo. Questa è una storia che parte dai ragazzi, che parla con loro di loro. Di ogni inizio di anno scolastico e della presenza di un bambino diverso. Che si tratti di Auggie della sua vita difficile in classe o dei suoi compagni diversamente disposti ad accettarlo o peggio decisi a escluderlo, c’è per ognuno un personaggio con cui identificarsi o a cui sentirsi vicino, atteggiamenti e sentimenti diversi da esplorare. Auggie, con il suo viso deforme e insieme con la sua simpatia interroga e sfida ancora i lettori a chiedersi come si comporterebbero in una situazione simile.

E poi c’è il realismo. Tutti i personaggi sono bambini autentici, una sorta di mosaico composto dai miei figli e i loro amici, tanto che all’epoca proprio mio figlio se ne lamentò, temendo che ci fossero delle rimostranze degli insegnanti. Per questo penso che il libro abbia ancora un valore contemporaneo». R.J. è convinta che il modo migliore per insegnare ai ragazzi sia raccontare una storia, e che la gentilezza e il coraggio, valori in cui crede fermamente, non si possano solo predicare e raccomandare. « Non si può combattere la violenza, il bullismo, il male con altra brutalità. Per vincere l’oscurità ci vuole le luce, il coraggio della gentilezza, anche in un’epoca in cui la gentilezza non è valorizzata. Nei miei libri cerco di ricordare che dobbiamo essere la migliore versione di noi stessi, il miglior antidoto in tutte le situazioni. Se mettiamo in campo con coraggio il bene e la gentilezza finiamo per offrire agli altri uno standard di comportamento che può ispirarli. È questo che può cambiare il mondo». Il tema riaffiora in tutta la sua drammaticità nella graphic novel Mai più, dove si ritrova Julian, l’odioso compagno che bullizzava Auggie, ascoltare la storia dolorosa e commovente di sua nonna Sara, quando ragazzina ebrea nella Francia nazista venne nascosta e salvata da un compagno zoppicante che tutti, anche lei, evitavano. Giusto per ricordare che non c’è salvezza senza solidarietà. Ieri dal nazismo, il male assoluto, oggi dall’indifferenza verso chi, in Europa come negli Stati Uniti, cerca un futuro per sé e i propri figli. R.J è figlia di immigrati colombiani a New York, e il suo sguardo su questa fetta di mondo è di compassione e solidarietà. « I miei genitori – racconta – non hanno lasciato la Colombia per disperazione o povertà. Venivano entrambi da un matrimonio finito, si erano innamorati e volevano il divorzio per risposarsi, animati dalla speranza di vivere insieme in modo sincero e trasparente. Ma se si parla di sopravvivenza, di fuga dalla fame o dalla guerra i governi hanno il dovere di pensare a un sistema di accoglienza, per dare priorità alle persone, prima della politica, prima dei confini e ricordare la nostra umanità».

Creature che temono di perdere gli affetti più cari e ne soffrono. È su questa dolorosa certezza che è nato Pony, una storia ambientata nel far West di metà Ottocento che segue il viaggio pericoloso di Silas, un dodicenne alla ricerca del padre, in compagnia di un misterioso quanto invisibile amico e cavalcando un pony. Anche questo, è quasi una certezza, diventerà un film. « Ero rimasta colpita da un incubo notturno di mio figlio che aveva sognato un ragazzo con il viso insanguinato e un cappello da cowboy. Chi fosse e cosa rappresentasse quell’immagine mi stava ossessionando. Ne ho scritto per due anni, arrivata a 400 pagine mi sono fermata, totalmente insoddisfatta di quello che avevo prodotto. In quel periodo persi mio padre, mentre mia madre se n’era già andata tempo prima. È stato allora che nel sentirmi profondamente orfana ho messo a fuoco quanto la perdita dei genitori sia stata da bambina la mia più grande paura. Sei anni dopo è arrivato il periodo terribile del Covid e del lockdown ma quei personaggi a metà tra il mondo dei vivi e dei morti erano ancora lì, dentro di me. Ho buttato via tutto e ricominciato di getto». Ne è nato un libro sull’amore, che non muore mai, e sui legami invisibili tra le persone, vive o morte che siano. Per R.J. sono state «le sei settimane più belle che potessi immaginare. Svegliarsi e poter scrivere tutto il giorno». Una gioia, anche per noi.

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