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Un'illustrazione 3D, con un robot con un teschio umano in mano
Anticipiamo il capitolo conclusivo del filosofo Adriano Fabris contenuto nel suo nuovo volume La filosofia nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Come ci aiuta a vivere negli ambienti tecnologici, in uscita per Castelvecchi (pagine 160, euro 16,00). La filosofia, argomenta Fabris, è utile per capire le cose, per orientarci nel mondo. Ciò vale ancor di più oggi, nell’epoca dell’intelligenza artificiale. È proprio adottando una prospettiva filosofica che il libro vuole aiutarci a vivere meglio e a fare le scelte giuste negli ambienti tecnologici in cui siamo immersi.
Ricorderete la famosa immagine della filosofia, quella per cui la filosofia è come la civetta, la “nottola di Minerva”, che si leva in volo alla sera e contempla tutto ciò che è accaduto, ripensandolo e cercando di dare a esso un senso. È la metafora inventata da Hegel, che troviamo oggi ripetuta nei loghi di molte istituzioni che hanno a che fare con tale disciplina. Ne ho parlato anch’io nel primo capitolo del libro. Ma ho anche detto che quest’immagine della filosofia, oggi, non è più adeguata. Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, in cui gli sviluppi tecnologici corrono più veloci della nostra capacità di pensarli, non siamo in grado di avere una panoramica completa della situazione, in modo da poter riflettere su di essa. La fotografia, in ultima analisi, risulta parziale e inadeguata perché coglie un’immagine sempre in movimento. Se è l’indagine filosofica a cercare di scattarla, essa, in definitiva, risulta inutile. Eppure in questo libro abbiamo visto che la filosofia serve ancora. Abbiamo cercato di mostrarlo proprio mettendo in pratica alcuni specifici modi di pensare che i filosofi del passato ci hanno insegnato. Abbiamo notato come oggi si ripropongano situazioni, esperienze, attività espresse da parole che hanno una lunga storia. Sono parole certamente adeguate, perché attraverso di esse continuiamo a intenderci. Ma rischiano anche di essere fuorvianti, perché in alcuni casi ci spingono a credere cose che non sono più vere. Oggi le vecchie nozioni conoscono un ampliamento di significato e divengono equivoche. Ci permettono di dire sia esperienze del passato sia situazioni del tutto nuove. Subiscono in parallelo un restringimento di senso. Ciò accade soprattutto nell’epoca in cui viviamo: l’epoca dell’intelligenza artificiale. In questo scenario la riflessione filosofica è utile proprio per chiarire la situazione e per permettere di rapportarci a essa in maniera adeguata. Ma non serve solo a questo. Serve anche a segnalare le opportunità – certo –, ma anche i limiti e l’unilateralità del modo di pensare veicolato dalle tecnologie. Serve a orientarsi nello sviluppo tecnologico e a cercare di governarlo.
Serve, soprattutto, a farci capire che vi sono altri modi di rapportarsi al mondo e altre concezioni dell’essere umano oltre a quelle che le tecnologie dischiudono. Rispetto a ciò, dunque, non è più la civetta, non è più un uccello, a poter adeguatamente simboleggiare l’attività filosofica. Se volessimo cercare per lo stesso scopo un altro animale, forse potremmo fare riferimento alla tartaruga. D’altronde la tartaruga è ben nota alla tradizione. Uno dei più antichi rompicapi che mettono l’uno contro l’altra il ragionamento e l’esperienza, il paradosso di Zenone, parla proprio di questo animale. Esso, pur lento ma testardo, non potrà mai essere raggiunto e superato da Achille – notoriamente personaggio dal piede velocissimo – perché, nel momento in cui Achille arriva al punto che la tartaruga occupa, quest’ultima, se è in movimento, dev’essere già andata oltre. Eppure quando Achille fa un passo in più, e in pratica la sorpassa, se consideriamo il fatto che la tartaruga comunque continua ad avanzare, percorrendo un’ulteriore, anche minima distanza rispetto al punto in cui si trova l’inseguitore quando la raggiunge, allora essa dovrà essere sempre oltre quel medesimo punto. Insomma: se ragioniamo sulla corsa dei due personaggi, non riusciamo a spiegare ciò che vediamo. Se ci poniamo su di un piano puramente teorico, Achille sarà sempre sopravanzato. Certo: in seguito sarà la stessa riflessione filosofica, e specificamente quella di Aristotele (2011), a elaborare una teoria che permetterà di pensare l’esperienza e di riconciliare il frutto del ragionamento con ciò che è sotto i nostri occhi.
Una filosofia che si oppone alla realtà, a meno che non si configuri come una critica di essa, rischia di essere non solo velleitaria, ma – appunto – inutile. E tuttavia dal paradosso di Zenone possiamo trarre lo stesso un insegnamento, soprattutto se consideriamo i personaggi all’interno del nuovo scenario che ho cercato fin qui di analizzare. Achille può certamente simboleggiare la velocità, l’efficacia, l’efficienza che sono propri, oggi, dei prodotti tecnologici. Come essi è potente, elegante, sicuro. È prediletto dagli dèi, egli stesso è un semidio, sembra che nessuno possa batterlo, dato che la madre lo aveva immerso nel fiume Stige, il fiume dell’oltretomba, per renderlo invulnerabile. E tuttavia gli manca qualcosa. Lo sottolinea proprio Zenone di Elea (l’attuale Velia, in provincia di Salerno), un allievo di Parmenide e suo concittadino. La tartaruga non riesce affatto a superarla. Non già per una sua incapacità o impotenza, ma perché le cose vanno in un altro modo. La tartaruga è lenta, ma dimostra una capacità di movimento sorprendente. È solida, perché è tutt’uno con la sua casa, il carapace. La sua casa, l’ambiente in cui lei è incorporata, può, anzi, reggere l’intero mondo: come si vede in certe rappresentazioni sul tema. E poi la tartaruga è avventurosa. Si arrampica, non teme di rovesciarsi, se la si rinchiude cerca sempre di scappare. Ecco perché, alla fine, vince su Achille. Le sue caratteristiche sono tali da permetterle d’interpretare al meglio la struttura della realtà. Può farlo perché la realtà le aderisce, le è consustanziale. Proprio come il suo guscio. Per questo la tartaruga di Achille, invece della nottola di Minerva, è una buona immagine di come si configura e di come si può configurare la filosofia oggi. Di più. Ci consente di capire perché, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, essa conserva una sua utilità. Come la tartaruga la riflessione filosofica è solida e ben piantata. Non si può infatti esercitare senza che venga portato su di sé, come un carapace, il proprio passato. Il rischio è che tale passato pesi, e impedisca di andare avanti. Il rischio è, come accade per la tartaruga quando ha paura, che anche chi fa filosofia si rinchiuda nel proprio guscio per timore delle novità. La tradizione di cui parlo, poi, è la casa, l’ambiente in cui il pensiero si sviluppa. I concetti chiave, gli elementi di cui questa casa è fatta, cambiano però significato e vengono declinati in maniera diversa a seconda delle questioni che di volta in volta debbono essere affrontate. Ci vuole coraggio per mettere alla prova delle nuove questioni i vecchi concetti. Ci vuole spirito d’avventura. La tartaruga, così come la ricerca filosofica, li possiede entrambi. Li ha più, forse, di un Achille che si butta a testa bassa verso nuove conquiste, spinto solo dalla volontà di andare oltre, con l’illusione di superare i propri limiti. Forse è per questo che la tartaruga non sarà mai raggiunta. Non è in grado certo di volare, per contemplare dall’alto come si sono svolte le cose. Ma nel suo contatto con la terra fa esperienza di concretezza, mentre Achille corre sempre avanti, senza fermarsi. E se questi cerca di rendere la realtà, che velocemente attraversa, funzionale ai propri progetti, la tartaruga invece ne sperimenta tutte le asperità, le salite e gli avvallamenti, e ne comprende la struttura.
Conosce i limiti propri e quelli altrui. Può dunque gettare uno sguardo non solo in avanti, ma anche e soprattutto sulle cose e fra le cose: ciò che è precluso a chi delle cose non ha rispetto, perché le considera solo in base a quello che ne può fare. Se restiamo dunque vincolati al paradigma dell’efficacia e dell’efficienza, del raggiungimento degli obbiettivi e della ricerca del controllo, la riflessione della filosofia sarà sempre inadeguata a pensare la realtà, e lo sviluppo tecnologico non potrà che oltrepassarla e correre sempre più avanti, irraggiungibile. Di conseguenza tale riflessione sembrerà non servire a nulla. Se invece abbandoniamo il paradigma oggi predominante, nella misura in cui viene ciecamente e dogmaticamente assunto, e consideriamo, in una prospettiva non più riduzionistica, i molti modi di pensare che i filosofi hanno praticato nel corso dei secoli, allora potremo guardare le cose da altri punti di vista. Potremo recuperare un rapporto differente con il mondo. Saremo in grado di vedere non solo dati, ma possibilità. La filosofia, allora, non sarà inutile. Sarà al servizio dell’umanità in maniere diverse da altre forme di sapere. E lo stesso Achille sarà messo davanti al proprio limite: non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga.