martedì 12 aprile 2016
Parma, l’inferno è finito
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Dall’Anversa al Delta Rovigo, da Wembley allo stadio Romeo Galli di Imola, dalla finale di Coppa Coppe alla Serie D. Ormai manca solo la matematica alla promozione in Lega Pro del Parma allenato da Luigi Apolloni, l’ex centrale difensivo della squadra di Nevio Scala (ora presidente) capace di primeggiare in Europa, ora tecnico della formazione gialloblù precipitata tra i Dilettanti a causa del dissesto finanziario della precedente gestione. Con la vittoria in trasferta con l’Imolese domenica, il Parma è arrivato ad appena due punti dal primo posto matematico oltre ad allungare il record di unica formazione italiana imbattuta nelle prime quattro categorie. La festa potrebbe scattare già domenica grazie a un successo al Tardini sul Delta Rovigo. Per Apolloni, 49 anni a inizio maggio, sarebbe la chiusura di un cerchio iniziato nel 1987 quando arrivò a Parma da giovanissimo giocatore per fare coppia difensiva con Lorenzo Minotti, attuale responsabile area tecnica del club.Apolloni, i giocatori vi chiedono mai dei trionfi di vent’anni fa?«No, quella è un’altra storia - risponde dopo aver fatto allenare in mattinata i giocatori meno impegnati domenica in vista dell’amichevole con l’Under 21 di Serie B in programma domani - però i ragazzi hanno capito subito dove erano arrivati guardando le foto ricordo dei trionfi nazionali ed europei appese lungo i corridoi del centro sportivo di Collecchio. Molti venivano da realtà dove non avevano mai visto spogliatoi così belli e non c’era neanche una palestra. Sono stati intelligenti a sfruttare l’opportunità».Avete dovuto lottare con gli strascichi della bancarotta?«Solo all’inizio: a Collecchio c’era qualche segno di degrado. I campi non erano in condizioni ottimali, troppo secchi. Sono stati bravissimi i giardinieri a rimettere tutto in sesto velocemente».Il fallimento del Parma può aver aiutato il calcio italiano a voltare pagina?«Purtroppo nelle serie minori casi simili si ripetono in continuazione. E in Serie A, dopo il Parma, il Genoa non ha potuto iscriversi all’Europa League. Spero che i provvedimenti presi dalla Figc possano evitare altri casi simili, soprattutto per salvaguardare i dipendenti: magazzinieri, giardinieri. La gente non può perdere il lavoro così».Chi sono gli ex compagni più vicini in questi mesi sulla panchina gialloblù?«Tino Asprilla è quello che sento di più. Mi chiede sempre i risultati del Parma e viene a trovarmi una volta all’anno. Poi Melli, Osio e Benarrivo. Taffarel e Lele Pin sono venuti in visita a Collecchio».Fatte le debite proporzioni, qualche giocatore è riuscito a diventare idolo del pubblico come succedeva con Asprilla?«C’è grande affetto nei confronti del capitano Lucarelli che rappresenta agli occhi dei tifosi il simbolo della rivalsa nei confronti delle istituzioni che un anno fa hanno abbandonato il Parma. Sento molti cori per Cristian Longobardi. E per altri attaccanti come Lauria e Baraye».Quando ha capito di avere in mano un gruppo vincente?«Minotti e il ds Galassi sono stati bravi a scegliere i giocatori giusti. Non è mai facile vincere soprattutto quando sei obbligato a farlo in queste categorie. Non nascondo che ci sono stati scontri verbali anche accesi nello spogliatoio. Ma sono proprio questi momenti che ti permettono di crescere. Ricordo ai miei calciatori una frase di Helenio Herrera: “Giochi la domenica come ti alleni in settimana”. Per questo motivo spero che sia migliorato anche chi è stato impiegato meno».E i consigli del presidente Nevio Scala?«È stato bravissimo a non chiedermi mai la formazione. Anzi, sono stato io a cercarlo per avere suggerimenti sulle scelte da fare prima di alcune partite».Ha utilizzato qualche metodo dello Scala allenatore?«Una volta il mister ci invitò tutti a casa sua per un rinfresco prima di Natale: giocatori, mogli, fidanzate e figli. Mia moglie Livia rimase molto colpita da questo fatto. E prima di Natale ha voluto rifare la stessa cosa a casa nostra».C’è un luogo di Parma dove ritrova se stesso: il giocatore arrivato a vent’anni e ora l’allenatore della rinascita?«Il Tardini, soprattutto quando guardo la curva piena. Lo sventolio delle bandiere gialloblù è sempre lo stesso. Poi avevo i miei angoli nello spogliatoio dove concentrarmi e fare stretching. Peccato che con i nuovi lavori il nostro spogliatoio sia diventato quello degli avversari. Così ho perso i miei riferimenti».Questa squadra è già pronta per tentare subito la promozione in Serie B tra un anno?«Questo bisogna chiederlo alla società che sta già programmando il futuro. Noi dobbiamo solo pensare a conquistare gli ultimi punti necessari. Poi mi piacerebbe fare una cosa con la squadra».Quale?«Tornare ad allenarsi alla Cittadella per un giorno. Erano unici quei pomeriggi passati a correre sul campo del parco in pieno centro, in mezzo alla gente. Ci davano senso di appartenenza  e responsabilità perché respiravamo l’attesa dei tifosi vicino a noi. Ricordo ancora la camminata con il rumore dei tacchetti uscendo dagli spogliatoi del vicino Tardini. Valeva la pena anche a costo di rischiare ogni giorno di farsi male perché il prato era pieno di pietre e buche. Mi piacerebbe portare i ragazzi. Però ho scoperto che le porte sono state segate. Ma ci inventeremo qualcosa». Dopo essere usciti dall’inferno, tutto è possibile.
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