venerdì 6 aprile 2018
La nobile decaduta del volley in un libro fotografico: una squadra entrata nella storia che ha ancora tanti tifosi nonostante sia scomparsa negli anni Novanta
Andrea Giani (Archivio Freschi)

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C’è stato un tempo in cui il Maxicono è stato molto più di un gelato. Erano gli anni in cui una squadra di pallavolo vinceva tutto quello che c’era da vincere in Italia e nel mondo. Chi ha vissuto quei fasti non riesce a dimenticare le imprese della Maxicono Parma, club di campioni che hanno scritto la storia di questo sport. A distanza di quasi trent’anni il ricordo è ancora vivo, ma nella città emiliana la grande pallavolo manca ormai da tanti, troppi anni. Eppure parliamo di una piazza storica del nostro volley che qui ha messo radici sin dal 1946 mettendo in bacheca scudetti e trofei internazionali. Prima con il sodalizio dei Ferrovieri, poi col gruppo Salvarani e infine coi marchi Santàl e Maxicono: per cinquant’anni Parma è stata una capitale della pallavolo. A quest’epopea è dedicato un robusto volume fotografico, Parma. La pallavolo, la sua storia (Kriss, pagine 336, euro 30), un libro di orgoglio e inevitabile nostalgia, da tramandare alle nuove generazioni per non disperdere un enorme patrimonio sportivo e umano. A firmarlo Alessandro Freschi e Carlo Alberto Cova che di quella Maxicono stellare è stato anche palleggiatore.

Dalle foto in bianco e nero dei pionieri fino ai trionfi leggendari dei primi anni Novanta con molti azzurri della generazione dei fenomeni: Andrea Zorzi, Marco Bracci, Pasquale Gravina, Andrea Giani... L’ultimo periodo aureo prima dell’abbandono nel 1994 dello sponsor Maxicono: da lì l’inizio dei dissesti finanziari e il lento declino del volley parmense con sporadici e sterili tentativi di risalita. «Oggi purtroppo - spiega con amarezza Cova - a Parma c’è solo una squadra in Serie B... Mancano quelle medie realtà industriali che hanno fatto da sponsor negli anni d’oro. Da quando hanno chiuso o sono andate via è stata la fine. È anche vero che non c’è pazienza: il nostro pubblico è stato abituato troppo bene». Un passato così grande da non crederci. «Non mi sembra ancora vero - ammette Cova - di aver fatto parte di quel gruppo. È stato già un bel salto arrivare dalle giovanili alla prima squadra. Con i miei 179 cm penso di essere stato il terzultimo giocatore al di fuori dei liberi a giocare in Serie A con un’altezza inferiore al metro e ottanta. Ho vissuto un sogno: io, di Parma, ex tifoso, mi sono ritrovato in campo come un napoletano accanto a Maradona…».

Classe 1968, Cova era tra i fuoriclasse di quella Maxicono di Montali che nel 1990 dopo lo scudetto centrò uno storico Grande Slam: Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Mundialito e Supercoppa europea. Cinque successi su cinque manifestazioni: «Il segreto era una base molto forte di italiani con uno o due stranieri a fare la differenza. Ma soprattutto l’età media: 22-23 anni. La società era un modello per solidità e organizzazione, il sogno per ogni giovane pallavolista». Un’epoca in cui Parma era l’isola felice dello sport: «Primeggiavamo nel baseball, nel rugby, nel basket femminile… Il calcio incantava con Nevio Scala con cui si collaborava tanto. Ma Sacchi stesso veniva spesso a trovarci per studiare gli schemi di Montali: gli piacevano molto la coralità e i movimenti senza palla, i suoi cavalli di battaglia. E spesso siamo stati ospiti del Milan ». Da Montali a Bebeto, il grande allenatore brasiliano scomparso di recente, Parma ha avuto in panchina tecnici carismatici e vincenti: «A Montali devo tantissimo. Con lui ho fatto tutte le giovanili conquistando diversi titoli italiani. È stato lui a farmi capitano già nell’Under 14 e a portarmi in prima squadra. Bebeto era un genio della pallavolo. Con lui ho giocato poco, mi vedeva più come allenatore. Ma siamo rimasti in contatto fino all’ultimo. Tornava spesso a Parma e mi spronava a far tornare in alto il volley in città. Non ha mai dimenticato quegli anni in cui, diceva, che “il campionato italiano era come l’ “Nba” e che le prime cinque squadre potevano vincere tranquillamente il Mondiale o l’Olimpiade. Come dargli torto». Hanno vestito la maglia Maxicono bandiere della storia azzurra: «Da Zorzi, incredibile trascinatore, al talento di Giani, ancora legatissimo a Parma tant’è che ci abita. Ma non posso dimenticare Bracci che mi ha aiutato tanto in campo e fuori. E poi anche Galli o Passani…».

Un gruppo rimasto in contatto: «Ci sentiamo spesso e ricordiamo tanti aneddoti, come il mitico baule che portavamo in trasferta. Sotto le magliette non mancavano mai Parmigiano e prosciutto: da veri incoscienti perché erano prodotti proibiti da esportare all’Est ». La nostalgia è acuita dal decadimento del “teatro” di quelle sfide epiche, il palazzetto Raschi: «Per chi lo vede oggi è un colpo al cuore: senza più sponsor, con infiltrazioni lungo le pareti… Il Comune è più volte intervenuto, ma ormai è un impianto decadente. Ci vorrebbe il sostegno anche di privati per custodirlo come monumento ». Cova non ha però nessuna intenzione di vivere di ricordi: «Sono presidente dell’ Associazione pallavolisti parmensi, con cui organizziamo un circuito di mini-volley provinciale che coinvolge fino a 600 ragazzi delle scuole elementari e medie. Il nostro è puro volontariato per non disperdere la passione delle famiglie. Siamo stati anche promotori tra i primi in Italia del sitting volley per atleti disabili e diamo una mano a Special Olympics per i ragazzi con disabilità mentale».

L’obiettivo è uno solo: «Mi piacerebbe trasmettere le emozioni e il divertimento che ho vissuto io. Ho cominciato a 7 anni grazie a mio padre e questo sport ha accompagnato la mia vita anche nei momenti difficili. Nell’anno del Grande Slam ho perso mia madre, avevo 21 anni è stato un colpo durissimo. Mi ha aiutato la fede e la gente della nostra parrocchia, la “Ognissanti”». Un dolore grande insieme a gioie epocali come la vittoria a Mosca. «Mi sento fortunato ad aver fatto parte della Maxicono, squadra che ancora oggi ha più tifosi di tanti club in vita, lo vediamo sui social e dai tanti che ancora vengono in “pellegrinaggio” al palazzetto. Quando vedi la gente che guardando le foto si commuove, capisci che questa è una storia da brividi che non si può dimenticare».

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