La lonza, una delle «tre fiere» descritte anche da Dante all’ingresso dell’inferno.L’impianto, in ogni caso, è rimasto immutato. Per monsignor Gianfreda l’opera di Pantaleone corrisponde all’estrema manifestazione dell’Impero bizantino, con il quale Otranto, «Gibilterra adriatica», intrattiene da sempre rapporti strettissimi. Nei secoli successivi si afferma invece la “Cristianità” europea d’Occidente, che ha in Dante il suo più grande interprete. Un dialogo tra giganti, dunque, che non esclude il contatto diretto. Nulla vieta, ipotizza con discrezione lo studioso, che le vicissitudini connesse all’esilio da Firenze abbiano portato il poeta anche in Meridione. Magari proprio a Otranto, dove avrebbe potuto ammirare il famoso mosaico e trarne ispirazione per i suoi versi. Non diversamente dalla Commedia, infatti, la decorazione della cattedrale presenta uno schema tripartito, nel quale hanno fondamentale importanza le raffigurazioni di Inferno e Paradiso. In un caso come nell’altro, inoltre, l’immaginario biblico si contamina con quello pagano o comunque secolare (celebre, a Otranto, il ritratto di rex Arturus, vale a dire re Artù). Ma a colpire di più sono le rispondenze puntuali. In entrambe le opere, per esempio, si dà spazio a un “antinferno” dove si incontrano «tre fiere» di esplicito valore allegorico: lonza, leone e lupa. Nel mosaico, annota Gianfreda, la lonza sembra sostituita da un orso, salvo riaffiorare – riconoscibilissima – in un’altra scena dell’opus tessellatum. All’aspetto tripartito di Satana si è già accennato, così come al pozzo ad apertura circolare nel quale sprofondano i simoniaci. La sovrapposizione in ogni senso più impressionante è quella tra i canti XXIV-XXV dell’Inferno, nei quali è descritta la punizione dei ladri in Malebolge, e la porzione del mosaico in cui spadroneggiano i serpenti: un dannato viene morso a «l’una e l’altra guancia», un altro viene azzannato alla nuca, non manca neppure l’inquadratura che pare alludere alla mostruosa metamorfosi incrociata tra rettile ed essere umano. Certo, in quest’ultima occasione Dante si pone in dichiarata emulazione rispetto a Ovidio e Lucano, e anche in altre circostanze il ricorso a una fonte comune (la Scrittura, anzitutto, oltre ai bestiari e alle fantasiose relazioni di viaggio medievali) potrebbe in qualche misura giustificare le assonanze tra la Commedia e il mosaico di Otranto. Tutto questo, però, non sminuisce affatto la consonanza colta con esattezza da monsignor Gianfreda: siamo davanti a due “opere mondo” che non solo si prefiggono il medesimo scopo, ma lo raggiungono con strumenti del tutto analoghi. Il motivo per cui questo accade potrebbe essere nascosto nei meandri ancora inesplorati della biografia di Dante. O forse è una dimostrazione del fatto che, pur restando lontana da Bisanzio, Roma non ne è mai stata davvero separata.
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