Pino Daniele in concerto a Napoli - Ansa
Le canzoni di Pino Daniele continuano a parlarci del presente e a raccontare i luoghi di una città amata e odiata, in cui il talento dell’artista trova ispirazione per le prime, intramontabili canzoni di sferzante denuncia. Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica, dal mascalzone latino a GioGiò (San Paolo, pagine 256, euro 18,00), da domani in libreria, è un omaggio a un poeta che sognava di tornare nei suoi vicoli, “a casa di mammà”, come spesso ripete sulla spiaggia di Sabaudia durante gli intensi dialoghi con l’autore del libro, il giornalista Pietro Perone. Pubblichiamo qui una parte del capitolo 14, in cui si parla dell’arcivescovo metropolita di Napoli, Domenico Battaglia, di recente nominato cardinale da papa Francesco.
Nel suo primo messaggio da arcivescovo di Napoli, davanti alle autorità, don Mimmo Battaglia mette da parte il Vangelo e declama un’intera strofa di Terra mia. Il sacerdote spiega che quelle parole rendono «l’idea del trasporto e della passione con la quale Pino Daniele vede e illustra la sua terra senza voler nascondere le verità più crude e primitive. Nel brano – dice il prelato – egli sottolinea anche l’amarezza di chi guarda affascinato questi luoghi senza poter far niente per un loro sviluppo. Nella canzone l’artista esprime anche la volontà di non perdere mai la speranza in un cambiamento, perché le cose variano giorno per giorno e sono in continua evoluzione. Non perdere la speranza, ma diventare profeti di speranza. Questa potrebbe essere la sintesi dell’essere autorità». Un esercizio del potere che, secondo il filosofo greco Aristotele, viene affidato a un “capo” non in base ai bisogni immediati del “gregge”, ma in virtù del suo sapere e di una visione. Quello che sembra mancare alla politica e di riflesso ai napoletani, sospesi tra l’arricchimento facile, derivante dallo sfruttamento turistico intensivo della propria città; l’atavica rassegnazione rispetto a storiche ferite; la rincorsa o al Masaniello di turno o a colui che assicura il mantenimento dello status quo, anche se fondato su equilibri malavitosi. Un continuo “galleggiare” che induce, soprattutto coloro che amministrano la città, a evitare molto spesso di assumere posizioni impopolari, pur se oggettivamente indispensabili per tentare di migliorare le condizioni di vita dei cittadini: dalla repressione nei confronti dei parcheggiatori abusivi che taglieggiano gli automobilisti e a loro volta sono sotto ricatto della camorra, ai tavolini di bar e ristoranti che invadono strade e piazze. E salendo nella scala degli abusi, non manca la quasi totale indulgenza nei confronti degli scempi edilizi realizzati sotto gli occhi di tutti, mentre un discreto numero di poliziotti, carabinieri e vigili voltano altrove lo sguardo per non vedere i centauri sfrecciare ad altissima velocità e senza casco. Illegalità diffusa di cui si nutre la criminalità organizzata.
L’arcivescovo Battaglia, a pochi mesi dal suo arrivo, prova invece a tracciare una strada per costruire le fondamenta del vivere civile e si concentra sui ragazzi quando ancora non si sono verificati gli omicidi di Francesco Pio e di Gio- vanbattista. Chiede alle “autorità” di sottoscrivere un patto “educativo”. Rappresentanti delle istituzioni, associazioni e sindacati uniti per affrontare il dramma della fuga dai banchi, la piaga di migliaia di minori che non entrano in classe per lavorare al nero o perlustrare a bordo di scooter le “piazze” dello spaccio di droga per conto dei clan.