venerdì 24 febbraio 2023
L’ultimo libro dello scrittore lombardo è centrato sulle indagini para-spirituali di Alfonso Fumi, che chiude l’era del commissario Norberto Melis
Lo scrittore Hans Tuzzi

Lo scrittore Hans Tuzzi - Giorgio Boato

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Ma non sarà che questo Fumi è il nuovo Melis? Gli appassionati dell’opera di Hans Tuzzi – e forse non soltanto loro – avranno già capito di che cosa stiamo parlando. Conclusa lo scorso anno la serie di romanzi di cui è stato protagonista il commissario e poi vicequestore Norberto Melis, lo scrittore milanese arriva ora in libreria con quella che potrebbe essere l’indagine inaugurale di Alfonso Fumi, imperscrutabile funzionario del ministero degli Interni abituato ad assumere incarichi tanto cruciali quanto ufficiosi. Più che raccogliere prove in senso stretto, annusa l’aria, si fa un’idea, formula ipotesi al limite della plausibilità eppure affidabili, come quella che permette di intuire la logica dei Curiosissimi fatti di cronaca criminale ai quali allude il titolo del nuovo romanzo (Bollati Boringhieri, pagine 176, euro 16,00). A cambiare, rispetto alla saga di Melis, non sono soltanto le generalità anagrafiche dell’investigatore, né il suo inquadramento gerarchico. La differenza più evidente sta nel contesto storico e sociale. Se infatti le avventure di Melis coprivano l’arco temporale della maturazione politico-culturale intervenuta tra la fine degli anni Settanta e il fatidico 1994, con Fumi retrocediamo al gennaio del 1960 (l’inverno è, da sempre, la stagione preferita da Tuzzi, che pure non disdegna occasionali escursioni estive). Un’altra Italia, d’accordo, alle prese con le turbolenze del governo Tambroni e appena sfiorata dagli entusiasmi del boom economico. In compenso, sono ancora vivi i fantasmi di un passato che si è voluto dimenticare troppo in fretta e che, in fin dei conti, è oggetto di nostalgia più che di riprovazione. C’è, per esempio, questo gruppetto di maturi e stimati professionisti, che si qualificano tra di loro come «cavalieri del dì natale». Non poggiasse su una rete di silenzi omertosi e innominabili complicità, il gioco potrebbe anche apparire innocuo. Da qualche parte, però, c’è qualcuno che, conoscendo bene la verità, si è fatto carico di fare vendetta nel modo più raffinato e sconvolgente. Riletti alla luce dell’interpretazione escogitata da Fumi (coltissimo anche lui come lo era Melis e come, più ancora, è lo stesso Tuzzi), gli spettacolari delitti della stanza chiusa di cui sono vittime i quattro «cavalieri» obbediscono a una sofisticata legge del contrappasso. La logica è quella del colpo per colpo o, meglio, data per data, perché il mosaico può essere ricomposto solo facendo appello a una buona conoscenza della cronologia universale, con un occhio di riguardo per le ricorrenze relative al Ventennio fascista. Ma decifrare il mistero non equivale a risolverlo. Gli omicidi, tutti consumati tra Milano e la Lombardia, sono accompagnati e addirittura annunciati da apparizioni inspiegabili: luci che brillano nel cielo notturno, strane creature dall’aspetto non esattamente antropomorfo, tracce di sangue di provenienza indefinibile. Se ancora non bastasse, ecco un manipolo di bambini che cominciano a divinare in rima e a compiere altre prodezze incompatibili con l’età. Con una mossa magistrale, che mette il lettore del romanzo in condizione di vantaggio rispetto ai personaggi, Tuzzi ci trasmette l’unica informazione destinata a rimanere fuori dalla portata di Fumi. La spiegazione, del resto, non è di quelle che si è abituati ad ascoltare negli uffici di polizia o nelle stanze dei ministeri. Chiama in causa un’insondabile forma di giustizia cosmica che corrisponde appunto alle istintive aspettative dei più piccoli, unici interlocutori coscienti dei messaggeri venuti da un imprecisato Altrove. Richiamati dai bambini, dai bambini stessi i giustizieri vengono congedati, lasciando presagire la natura degli enigmi con i quali Fumi dovrà confrontarsi da qui in poi. Magari è un’impressione, ma questo sembra il modo in cui Tuzzi ha deciso di dare voce a un’inquietudine spirituale che sotterraneamente attraversa tutti i suoi libri e che finora aveva trovato espressione esplicita in due romanzi esclusi dall’orbita di Melis, Vanagloria del 2012 e Nessuno rivede Itaca del 2020. Il caso, insomma, non è ancora chiuso.

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