giovedì 16 marzo 2017
Apre a Roma al museo In Trastevere la retrospettiva dedicata alla grande fotografa americana. In 120 scatti (anche a colori) e filmati super8 luci e ombre di una società in bilico tra lusso e miseria
New York, 10 settembre, 1955. © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.

New York, 10 settembre, 1955. © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.

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Arriva nella Capitale l'attesa mostra retrospettiva Vivian Maier. Una fotografa ritrovata che permette uno sguardo approfondito sull'immenso - e fino a pochi anni fa inedito - corpus fotografico della bambinaia fotografa, nata a New York nel 1926 e morta a Chicago nel 2009. Nel corso della sua vita ha scattato circa 100 mila immagini nello stile dei maestri della street-photography. Un catalogo immenso che racconta le luci e le ombre dell'America metropolitana tra gli anni '50 e '70. Madre francese e padre di origini austriache, Vivian Dorothea Maier torna in Francia con la mamma dopo la separazione dei genitori, per riaffacciarsi negli Usa a 12 anni. Comincerà a lavorare come tata in famiglie borghesi dove vivrà senza mai avere una casa e una famiglia propria.


Quando porta i bambini a spasso che le sono affidati, o nelle ore di libertà, scatta compulsivamente con la Rolleiflex (poi la Leica) congelando volti, epressioni, momenti. Coglie attimi irripetibili, coltiva in segreto la sua arte, da artista gelosa delle sue opere, scattando esclusivamente per se stessa, senza mostrare - né tantomeno pubblicare - nulla di quanto raccoglie, ma con sorprendente gusto compositivo e attento sguardo sociologico.


Nel 2007 la scoperta casuale di parte della sua opera, in un lotto di casse vendute all'asta dopo una confisca per un mancato pagamento al magazzino dove le teneva. John Maloof, giovane agente immobiliare in cerca di documenti sulla storia recente di Chicago, si imbatte con sorpresa in questo archivio di capolavori. Ne intuisce la grandezza e riesce a ricomprare da altri acquirenti altre casse. Migliaia e migliaia di fotografie, ma soprattutto centinaia di pellicole, formato 120 e 35 millimetri, ancora da sviluppare. Comincia così la scoperta casuale di un'artista che entrerà di diritto nel "pantheon" dei grandi fotografi del '900. Una storia singolare, misteriosa e beffardamente amara. Maloof nel 2009, cercando nel web notizie sulla misteriosa artista, si imbatterà del necrologio di Vivian Maier, morta in ospedale da pochi giorni dopo una banale scivolata su un marciapiede ghiacciato. Sola, come aveva scelto di vivere.


Un talento mostruoso, quello di questa "Mary Poppins con la Rolleiflex", coltivato senza scambi culturali con gli altri artisti della sua epoca, lontana dai circoli culturali e dai salotti intellettuali. Ma Vivian Maier è attenta, legge, frequenta i cinema. Nelle sue foto, secondo Alessandra Mauro, curatrice della Mostra assieme ad Anne Morin, ci sono evidenti richiami allo stile di fotografi dell'epoca: gli scatti crudi e brutali di un maestro della cronaca nera come Weegee, le facce della gente povera di The Americans di Robert Frank, fino a citazioni di Henry Cartier Bresson, come l'immagine degli anziani che sbirciano dalle feritoie in un muro di cinta. Un catalogo multiforme, raccolto nelle strade di New York e Chicago, popolato di homeless, bambini, dame in pelliccia, poliziotti, neri. Dettagli di gambe e di mani. Ma anche immagini di architettura urbana di grande equiibrio. E tanti autoritratti - in specchi, vetrine, pozzanghere, borchie cromate - gelosamente custodite, concettualmente agli antipodi della banalità narcisistica della cultura contemporanea dei selfie. Accompagna la mostra il libro Vivian Maier. Fotografa, pubblicato da Contrasto.


A Roma fino al 18 giugno al museo In Trastevere, piazza Sant'Egidio 1/b, promossa da Roma Capitale, realizzata da Fondazione FORMA per la fotografia in collaborazione con Zétema progetto cultura.

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