Il piccolo Murtaza Ahamadi con la maglia autografata da Messi (Ansa)
In Afghanistan, quasi la metà dei bambini tra sette e 17 anni d’età – in tutto 3,7 milioni – non hanno frequentato la scuola. Sono 2,1 milioni (2,5 milioni per l’Unicef) quelli tra 6 e 14 anni costretti a una qualche forma di lavoro minorile che spesso ne mette a rischio la salute. Bambini o giovani sono impegnati come portatori, saldatori, operatori di macchinari pesanti, nella raccolta e selezione di rifiuti, in operazioni ripetitive per lunghi orari di lavoro in manifatture, miniere o nei campi. Si tratta di dati elaborati dall’Ufficio nazionale di statistica e in parte aggravati da quelli di un recente rapporto Unicef. Per molti il sogno è di uscire dal circolo vizioso di povertà, mancanza di educazione, sfruttamento; per pochi riuscire a farlo attraverso un’attività sportiva, a imitazione di tanti degli idoli del cricket o del calcio, che la relativa apertura del Paese, più diffusi strumenti informativi – a partire da Internet – e politiche ufficiali ha reso popolari.
Stregato dal pallone e da Lionel Messi, un sogno da calciatore nel cassetto, una fama non cercata ma dovuto all’interesse globale per la sua vicenda... Murtaza Ahmadi ha ora otto anni e un futuro se possibile ancora più oscuro del suo già difficile passato.
Dopo avere commosso il mondo con il suo tifo appassionato per il fuoriclasse argentino, avvolto in una maglia dai colori della nazionale sudamericana fatta con la plastica recuperata tra i rifiuti, Murtaza è passato dalle stelle dell’incontro con il suo idolo in occasione di un’amichevole del Barcellona in Qatar il 13 dicembre 2016, alla dura realtà del profugo e di bersaglio di violenza omicida.
La famiglia Ahmadi o, perlomeno, le donne e i bambini della famiglia mentre gli adulti maschi sono rimasti sulla loro terra nella provincia di Ghazni, è stata costretta a fuggire il mese scorso dall’offensiva del Taleban che ha imposto a migliaia di famiglie di trovare rifugio altrove. Meta la capitale Kabul, sicuramente l’area meglio controllata militarmente del Paese, città crogiolo di necessità e potenzialità ma anche magnete per ogni iniziativa criminale, estremismo e intrigo che la Repubblica islamica dell’Afghanistan può esprimere dopo quarant’anni di conflitto pressoché ininterrotto.
È bastata una notte, quella buia ma squarciata dalle esplosioni e dai proiettili traccianti, per trasformare il sogni di Murtaza nell’incubo del fuggiasco. «Si è trattata di una situazione improvvisa e non siamo stati in grado di portare con noi altro che le nostre vite», ha descritto la madre Shafiqa. Una situazione drammatica e confermata da fonti Onu che ha interessato 4.000 nuclei familiari costretti alla fuga dall’improvvisa avanzata della guerriglia in un’area fino a ora relativamente distante dal conflitto che ha provocato centinaia di morti tra governativi, civili e militanti armati.
Al terrore condiviso con altri e ora all’incertezza dell’appartamento sovraffollato di sfollati in una città ostile, la famiglia Ahmadi aggiunge però un altro e terrificante elemento di inquietudine che si aggiunge ai timori di estorsione o anche di rapimento che derivano dal presunto benessere derivato dalla fama di Murtaza. È stata la stessa Shafiqa a raccontare come i Taleban che hanno invaso il villaggio cercassero il bambino, minacciando che «se l’avessero trovato l’avrebbero fatto a pezzi».
Nulla di nuovo, purtroppo, sotto il pallido sole afghano in un inverno gelido che, se porta nuova miseria su milioni di individui che vivono in povertà e incertezza, non ferma una guerriglia sempre più audace. Certa che, se non la vittoria sul campo, potrà presto totalizzare una posizione di forza sulla faziosità e debolezza del governo che emergerà dal risultato del voto di novembre e sulle necessità della presidenza di compromesso che uscirà nelle elezioni del prossimo aprile.