martedì 21 maggio 2019
Tre volte campione del mondo, ebbe un incidente nel 1976 che rischiò di costargli la vita. La scomparsa a 70 anni. Un uomo tutto corse, la famiglia e una grande passione per gli aerei
(Ansa)

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Niki Lauda, l’uomo che visse tre volte. Tante sono state le sue vite e rispetto a chi ne vive a stento solo una, è stato un privilegiato. Una storia che si è interrotta l’altra notte a seguito di una complicazione renale. Infatti Niki Lauda aveva già subito due trapianti di rene, dovuti ai postumi del grave incidente al Nürburgring del 1976 e alle sostanze tossiche che aveva respirato nell’incendio della sua Ferrari. E proprio quei postumi sono state la causa dell’ultimo trapianto, quello di polmoni dello scorso agosto. Le cure anti rigetto, una influenza mal curata e le complicazioni mediche hanno portato alla scomparsa del pilota austriaco, che era nato il 22 febbraio 1949.

Aveva festeggiato i 70 anni a casa sua, a Ibiza, dove si era trasferito da tempo: «In Austria fa troppo freddo, potendo scegliere, preferisco il sole e il mare» diceva sempre. E col suo aereo privato faceva la spola sui circuiti di tutto il mondo e con i suoi uffici di Vienna, dove aveva fondato la terza compagnia aerea. Dopo la Lauda Air, assorbita dalla Lufthansa, fu la volta della Fly Niki, il cui volo di debutto fu un Milano Vienna con Lauda ai comandi del jet. Infine la Niki Air. Una avventura che nasceva dalla sua passione per il volo. Una mente dotata, intelligenza in pista e negli affari. Un perfetto connubio fra passione e ragione. In fondo, lo chiamavano il ragioniere del rischio. Mai un sorpasso sopra le righe, mai un rischio di troppo. Nessuna concessione allo spettacolo. In pratica una noia. Eppure vincente. Tre mondiali, due con la Ferrari e il terzo, al ritorno in pista, con la McLaren. La F.1 ma anche gli aerei. Lauda, infatti, aveva preso il brevetto da pilota e proprio il rinnovo di una licenza fu commentata nei box col solito sarcasmo: «Mi hanno trapiantato un rene e me ne hanno messo un altro di supporto disse - quando fecero gli esami i medici hanno visto che avevo tre reni invece di due. Non volevano darmi la licenza. Allora ho risposto che se un uomo normale ha permesso di volare con due reni, perché io non avrei dovuto averlo avendone tre? Mi hanno guardato allibiti, ma mi hanno rinnovato la licenza » e tutti a ridere per il suo modo ironico e sarcastico di raccontare la cosa. Su Lauda e il suo modo di fare si potrebbe scrivere un libro.

Nel 1977, dopo aver vinto una gara, riconobbe un giornalista inglese che era stato molto duro con lui. Aveva scritto che con quella faccia non si capiva come la moglie avrebbe potuto sopportarlo ancora e se fosse stato ancora un vincente. Lauda lo riconobbe, prese la coppa, la mostrò, e gli disse che se voleva un commento ebbene, poteva infilarsi il trofeo per il naso. Memoria di ferro, analista e metodico. Uno che con l’ingegner Mauro Forghieri ripeteva fino alla noia tutti i dettagli della vettura. «Allora, hai girato con questo alettone, adesso hai provato questo nuovo. Cosa non va?» E Lauda, di rimando: «In quella curva succedeva questo, con che ala ho girato? Bene e allora voglio che in quella curva la macchina vada in quel modo...» e via di questo passo con discussioni infinite. Da cui la celebre frase che le monoposto si guidano col fondo schiena: «Mi dicono che non ho una bella faccia dopo l’incidente, ma è anche vero che faccio il pilota e quindi mi serve avere un buon piede destro e sentire la macchina col sedere e quelli li ho intatti». E infatti vinse altri due mondiali. Enzo Ferrari lo chiamò l’ebreo perché era attaccato ai soldi. Invece Niki la pensava diversamente: «Dovrei fare causa a mia madre, mi ha fatto nascere a Vienna, se penso a cosa guadagnano i piloti americani, avrei dovuto nascere lì...». Si narra anche che il giorno del GP del Canada del 1979, quando decise di colpo di smettere con la F.1, un meccanico trovò delle monetine nelle dita del guanto di Lauda, da lì la famosa attribuzione di Enzo Ferrari venne quasi rinforzata, ma forse è più un aneddoto che realtà vera.

Di certo nel film Rush, dedicato da Ron Howard alla sfida con James Hunt, c’era molto di romanzato e poco di vero. Specialmente nelle caratteristiche degli attori. «Quando ho visto Daniel Bruhl che recitava la mia parte sono rimasto stupito: era più Lauda di me, davvero bravo. E poi c’era molta fantasia. Anche io ero un donnaiolo ma sono ancora sposato, per questo ho detto al regista di sorvolare, perché se mia moglie viene a sapere tutto quello che si combinava, meglio tornare a correre, è meno pericoloso che avere una donna infuriata per casa!». E ancora risate, specialmente con i suoi amici, Gerhard Berger in testa, Helmut Marko della Red Bull e Toto Wolff, il team manager della Mercedes campione del mondo. «Tu stato stupido. Sbagliato tutto, vieni che io spiega» ripetè un giorno in cui Lewis Hamilton commise uno sbaglio. Giorno dopo giorno, quella sicurezza, quel punto di riferimento che Hamilton cercava, divenne Niki Lauda, il pilota dal quale ha imparato a gestire le corse, a usare la testa. A diventare Hamilton. La passione di Lauda? La famiglia, i figli, le corse, gli aerei. E la Ferrari. «Cosa combinato Ferrari? Ah gran Kasino, loro sbagliato, non va bene potevano vincere corsa, adesso vado a dirglielo». Peccato che la corsa l’avesse vinta proprio la sua Mercedes, ma in fondo al cuore quel cavallino rampante e quella Ferrari erano la sua vera passione: «Corrono tanti in macchina, ma io guido una Ferrari», disse una volta. Ecco, l’impressione è che non abbia mai smesso di farlo.


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