lunedì 3 gennaio 2022
L'autore di "Narratori delle pianure" e "Fata Morgana" è scomparso la scorsa notte a 84 anni. Importante traduttore, ha firmato nel 2013 una sua versione dell'"Ulisse" di Joyce
Gianni Celati a Venezia nel 2005 in occasione del Premio Campiello

Gianni Celati a Venezia nel 2005 in occasione del Premio Campiello - Ansa

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Con Gianni Celati – morto a 84 anni la scorsa notte in una casa di riposo di Brighton, in Inghilterra, per i postumi di una frattura del femore – se ne va il testimone di una stagione della letteratura post-Settanta che ha avuto il suo epicentro nella pianura padana e in particolare nell’asse Bologna-Modena- Reggio Emilia. Un fermento culturale che non ha investito la sola letteratura e al quale lo scrittore e critico letterario ha dato uno slancio significativo.
Come per Daniele Del Giudice, scomparso il 2 settembre scorso, l’esordio di Celati è stato nel segno di Italo Calvino, autore di una nota alle Comiche del 1971, che aveva fatto pubblicare da Einaudi. Ma mentre la scrittura dello scrittore veneziano, apparso un decennio dopo sulla scena, è geometrica, cartesiana, e la sua passione era il volo, Celati ha un andamento fluviale, legato alla Bassa padana. Paesaggio che rivisitò con alcuni fotografi, tra i quali Luigi Ghirri, in Verso la foce (1988). Con l’idea della pianura come indefinito, senza limite. Diari di viaggio che «narrano l’attraversamento d’una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni. Se hanno qualche rilevanza, almeno per chi li ha scritti, questa dipende dal fatto che un’intensa osservazione del mondo esterno ci rende meno apatici (più pazzi o più savi, più allegri o più disperati) », scriveva Celati.

Il suo instancabile viaggiare lo ha portato dalla Tunisia, dove ha imparato l’arabo, ad altri paesi africani e mezza Europa. A Bologna si era laureato in letteratura inglese con una tesi su Joyce, del quale ha tradotto l’Ulisse nel 2013. Ed è una circostanza significativa che la sua morte apra l’anno del centenario dell’opera, che vede molte nuove traduzioni. Dopo un soggiorno negli Usa, Celati ha poi insegnato Letteratura Angloamericana al Dams. Infine l’approdo in Inghilterra, dove si è stabilito insieme alla moglie, Gillian Haley, nel 1990. A Bologna il 'narratore della pianura' è stato maestro di una generazione.

Ai suoi corsi, dal 1973 al 1984, ha avuto come studenti gli scrittori Pier Vittorio Tondelli, di cui si è appena celebrato il trentennale della morte, Claudio Piersanti, Enrico Palandri, il regista Giacomo Campiotti, il pittore, poeta e critico d’arte Gian Ruggero Manzoni, il disegnatore di fumetti Andrea Pazienza e il cantante Roberto 'Freak' Antoni. Una varietà di esiti che testimonia della vitalità di quell’epoca a cavallo tra Settanta e Ottanta. Della quale è prova concreta l’archivio dello scrittore, che si trova dal 2012 nella Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia, dopo essere stato conservato a casa dell’amico Daniele Benati. Carte dalle quali si può ricostruire a fondo anche il sodalizio con Ghirri, iniziato nel 1981 e sfociato nel 1984 nel celebre progetto di Viaggio in Italia.

Gli inizi dell’autore emiliano, era nato a Sondrio nel 1937 da genitori ferraresi, sono stati segnati, però, dalla produzione letteraria e dalla riflessione critica sul comico.

Dopo l’opera prima erano seguiti tre romanzi Le avventure di Guizzardi, La banda dei sospiri e Lunario del Paradiso (tutti nei Settanta, poi raccolti nel 1989 in Parlamenti buffi).

Contemporaneamente in Finzioni occidentali (1975) portava avanti sulla scorta del Rabelais di Bachtin la riflessione sul riso e il carnevalesco nel Medioevo e Rinascimento: da Pulci, Folengo, Cervantes, fino a due altri grandi padani, Ariosto e Boiardo, di cui 'tradurrà' in prosa l’Orlando innamorato.

Del favolistico Celati si è occupato anche traducendo la Favola della botte di Jonathan Swift. Altre sue rese sono quelle di Melville, London, Conrad, per l’inglese, ma anche dei francesi Stendhal e Céline (quando era ancora autore tabù) e del tedesco Hölderlin.

Ma il viaggio che non lo ha mai abbandonato è stato dentro le storie di 'originali', matti, eccentrici. Iniziato già con la ricordata opera prima, ispirata dal diario di un internato nel manicomio di Pesaro. E proseguito fino ai Narratori della pianura (1985, che segna il passaggio a Feltrinelli), galleria di narrazioni basate sull’oralità e dallo stile più piano rispetto alle prime prove. Si va dal radioamatore di Gallarate che si mette in contatto con qualcuno che abita in un’isola in mezzo all’Atlantico, alla storia del barbiere di Piacenza che, uscito dal manicomio, viene allontanato dalla moglie. Lui crede che lei gli neghi l’esistenza, la vita, o meglio la «vivenza» come la chiama, forse per colpa di un episodio della guerra. Un tedesco gli ha sparato sul Trebbia e tutti allora lo credono morto, pensa. Per questo cerca il proiettile nel fiume e i pescatori, per canzonarlo, gli chiedono se cerchi prove del’esistenza di Dio. «No, cerco le prove che esisto io» la risposta.

Anche questo filone di ricerca dell’io nella follia parte dalla tradizione medievale e rinascimentale, passa per fine Ottocento con I mattoidi di Carlo Dossi e arriva a Ermanno Cavazzoni con i suoi lunatici. Con Cavazzoni e altri scrittori (oltre a Benati, Ugo Cornia e Maurizio Salabelle) Celati è stato animatore dal 1995 al 1997 della rivista 'Il Semplice', sulla quale hanno scritto nomi del calibro di Benni, Delfini, Malerba, Manganelli.

La produzione di Celati – consacrata in un MeridianoMondadori uscito nel 2016 a cura di Marco Belpoliti e Nunzia Palmieri – non si limita, però, alla pagina scritta. In qualità di regista, ha realizzato i documentari Strada provinciale delle anime (1991) Il mondo di Luigi Ghirri (1999), Case sparse. Visioni di case che crollano (2003) e Diol Kadd.Vita, diari e riprese di un viaggio in Senegal (2010). Della sua passione per il viaggio è testimonianza il resoconto Avventure in Africa (1998). E altra resa di un classico in prosa è stata quella dell’Odissea, a ulteriore riprova della sua errante "vivenza".

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