Il padre del “Re Leone” Rob Minkoff: «Troppi remake a Hollywood»

Il regista, giurato ai Cartoons on the Bay, riceve il Pulcinella Award alla carriera e riflette sui sequel e sul futuro dell’animazione con l’IA
May 30, 2025
Il padre del “Re Leone” Rob Minkoff: «Troppi remake a Hollywood»
Cartoons on the Bay | Lo sceneggiatore e produttore americano Rob Minkoff
È stato uno dei grandi artefici della seconda golden age della Disney, lasciando nel 1994 un segno profondo nella storia del cinema, non solo di animazione, con Il Re Leone. Chiamato a far parte della giuria lungometraggi alla 29ª edizione di Cartoons on the Bay, il 62enne regista, sceneggiatore e produttore Rob Minkoff riceve anche il Pulcinella Award alla Carriera.
Eravate consapevoli, Minkoff, del fatto che Il Re Leone, da lei diretto con Roger Allers, sarebbe stato un successo planetario?
«Sinceramente no, Il Re Leone era un film con origini molto umili. L’idea era quella di realizzare Bambi in Africa, un’avventura naturalistica sui leoni e gli altri animali della savana, ma il progetto non sembrava funzionare, ed è stato allora che sono stato coinvolto. Ho avuto subito l’impressione che il film mancasse della magia tipicamente disneyana e abbiamo dato nuova forma alla storia. Disney in quegli anni era alla fine di un’epoca, Michael Eisenberg e Jeffrey Katzenberg non erano ancora approdati agli Studios. Con loro le cose sono cambiate».
Nel bene o nel male?
«Nel bene direi. In quegli anni giravano voci che avrebbero chiuso il dipartimento di animazione perché i film non andavano bene, ma Roy Disney Jr., si oppose, perché sarebbe stato un tradimento dell’eredità lasciata dal grande Walt. Quando abbiamo cominciato a lavorare su Il Re Leone, il film non era certo considerato tra i progetti più eccitanti degli Studios: in una riunione si capì perfettamente che Katzenberg puntava su Pocahontas. Lui considerava Il Re Leone un esperimento, perché era il primo film che partiva da una storia originale e non dall’adattamento di una favola. Quando abbiamo descritto il progetto a Eisenberg, lui pensò a Shakespeare, ma citò Re Lear, che in realtà non aveva nulla in comune con il nostro film a parte la parola Re. Il produttrice de La sirenetta intervenne per citare Amleto, e allora Eisenberg disse che avremmo fatto un Amleto coi leoni. La scena che lo avvicina alla tragedia shakespeariana è quella in cui Mufasa, dopo la sua morte, torna come fantasma e chiede a Simba di prendere il suo posto nel cerchio della vita. In realtà la storia è universale, il classico viaggio dell’eroe, un percorso di formazione. Il predecessore è stato Bambi, che però lasciava la morte fuori campo. Per la prima volta invece ne Il Re Leone la morte andava in scena, ed era scioccante».
Nelle fiabe classiche i genitori muoiono all’inizio: il peggio è passato e le cose non possono che migliorare.
«Giusto, ma quando Jon Favreau nel 2019 girò il remake live action de Il Re Leone mi fece notare quanto inusuale fosse il fatto che uno dei protagonisti morisse nel bel mezzo della storia».
La Disney oggi sembra aver perso smalto. Cosa è andato perduto?
All’epoca era eccitante lavorare su idee nuove, anche se tratte dalle fiabe. A un certo punto però gli Studios sono diventati meno interessanti alle storie originali, e quindi ecco remake e sequel, che fanno comunque parte della storia di Hollywood. Basti pensare a Il mago di Oz che più amiamo, quello del 1939, remake di un film muto che invece nessuno conosce. Raccontare le stesse storie in tempi diversi non è una novità, ogni volta il film mostra un approccio nuovo».
Cosa pensa del remake del Re Leone?
«Una versione interessante, vicina alla live action, ma è un peccato che abbiano usato la stessa colonna sonora del 1994, non cogliendo l’occasione per creare qualcosa che contribuisse alla nuova identità del film. Un grande successo al botteghino in tutto il mondo, e questo ovviamente incoraggia gli Studios a proseguire sulla strada del remake. Anche Lilo & Stitch sta andando benissimo e ci sono nuove generazioni di bambini che incontrano per la prima volta questi personaggi. Io resto dell’idea però che sarebbe preferibile per la Disney e gli altri Studios investire su storie originali».
Quella per i remake live action è diventata una vera e propria ossessione. Ma con Biancaneve non è andata bene.
«Un film controverso per il tipo di approccio. In un’epoca in cui i classici di animazione approdano su Disney+ con l’avvertimento che le storie, i personaggi e un certo umorismo sono frutto della cultura e della sensibilità di un’altra epoca, quella di adattare all’oggi vecchi film è una vera sfida».
Non è una forzatura cercare una giustificazione morale ai “cattivi”?
«Ho sempre saputo che Scar e Mufasa erano fratelli, ma ho sempre pensato che avessero due madri diverse e lo stesso padre. Quando nel prequel ho visto che Mufasa era stato adottato dalla famiglia di Scar sono rimasto sorpreso, ma questa è l’interpretazione degli autori».
Che direzione ha preso l’animazione?
«Il pubblico è cambiato ed è pronto a diversi tipi di storie, non solo per bambini e famiglie, ma per adulti interessati all’animazione».
Che impatto ha l’IA sul linguaggio dell’animazione?
«Cambierà il modo in cui tutti i film verranno realizzati. Se nel bene o nel male, lo capiremo da come verrà usata questa tecnologia. Ma, per usare una metafora, alla gente interessa la Monna Lisa, non i pennelli che Leonardo ha usato».

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