giovedì 24 novembre 2022
Nel 1945 scrisse a suor Jacques-Marie, sua ex infermiera, una lunga professione di fede: «Guardando a ritroso la mia vita vedo che sono stato chiamato a rivelare la gloria del Creatore»
Herni Matisse ritratto da Carl van Vechten nel 1933

Herni Matisse ritratto da Carl van Vechten nel 1933 - WikiCommons

COMMENTA E CONDIVIDI

Nel 1942 Matisse conobbe Monique Bourgeois, la futura soeur Jacques-Marie, e tra la giovane e il maestro si stabilì subito un’intesa profonda. Il loro dialogo continuò e da esso nacque l’idea della Cappella di Vence, uno dei capolavori dell’arte sacra del Novecento. Questa lettera, che proponiamo in pagina, e tante altre sono state raccolte nel volume Henri Matisse, Gioia di vivere. Lettere e scritti sull’arte (Donzelli, pagine 278, euro 30,00) da Giorgio Agnisola, del quale proponiamo anche un estratto della prefazione.

A suor Jacques-Marie,

Vence, 20 giugno 1945

Cara suor Jacques-Marie,

mi auguro che abbiate avuto notizie soddisfacenti da vostro fratello, magari è rientrato in Francia. La vostra risposta a un’allusione che ho fatto nella mia lettera sul nostro comune destino mi ha interessato dal momento che vi ho risposto? Lo faccio senza alcuna pretesa, credetemi, e vado per la mia strada senza badarci troppo, tranne che in occasione della vostra lettera e riguardo a voi. Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce e io? Io vivo solo per la luce e sono andato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi.

I. Voi scrivete che la luce di Dio che mi innalza fino a Lui – come ho scritto più giù – è stato mentre scrivevo la mia lettera che l’ho aggiunta a questa replica.

II. La sottomissione ce l’ho anch’io, è così che ho potuto essere per oltre vent’anni insultato da tutti i critici d’arte sui loro giornali, perché ero sottomesso alla volontà divina piuttosto che alla ricerca della soddisfazione di un pubblico che vive di abitudini meccaniche indegne di una creatura divina o che contiene la particella divina riversata in ogni essere.

III. Il Signore ci ha detto: «Fuori dalla mia Chiesa non c’è salvezza». La mia strada non è stata tracciata così. Sono stato condotto (molto modestamente), tuttavia, e l’ho constatato solo negli ultimi anni guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi come essendo stato, sulla terra, designato dall’Altissimo a risvegliare nelle menti degli altri uomini la visione delle cose che porti a un’elevazione dello spirito che sfoci nel Creatore.

Io obbedisco, lo credo fermamente, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La mia contemplazione non può essere semplicemente ammirativa ma deve essere attiva, mettere in moto tutte le risorse dello spirito per creare il mezzo più diretto a elevare lo spirito stesso dei miei simili verso uno spazio che li tiri fuori dalla loro infima condizione umana – soprattutto dall’interesse, «il denaro per il denaro» con il quale tutto si può comprare. Pregate per me. Grazie. Domandate al Signore di concedermi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi terrà in contatto con Lui, che mi consentirà di condurre la mia carriera lunga e laboriosa verso ciò che ho sempre cercato, rendere la Sua gloria visibile ai ciechi con nutrimenti esclusivamente terreni. Domandategli altresì di concedermi la salute per questo, anche se questo auspicio passa in secondo piano. Ecco qui cara suor Jacques-Marie la mia professione di fede suscitata dalla vostra lettera. Ve ne sono grato. Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare nel più profondo di me stesso cose che non formulo mai a parole poiché non avverto il bisogno di comunicarle ad altri. I miei migliori auguri di buona salute a tutta la vostra famiglia, a voi che avete una missione tanto nobile e così poco direttamente interessata. Adoperate tutte le risorse del vostro spirito al meglio. Non avete il diritto di trascurarle dal momento che vi sono state concesse. Ancora un foglio! 1) per dirvi dato che me lo chiedete che la mia salute si è rinvigorita. In questo momento vado ogni mattina a recitare la mia preghiera, la matita in mano davanti a un melograno coperto di fiori nei loro diversi stadi di fioritura e spio la loro trasformazione, in effetti non lo faccio con uno spirito scientifico ma ricolmo di ammirazione per l’opera divina. Non è questa una maniera di pregare? e faccio in modo (ma in fondo non faccio niente personalmente perché è Dio a guidare la mia mano) di rendere percepibile ad altri la tenerezza del mio cuore.

Attraverso le lettere si entra nel laboratorio dell'artista

Matisse non è stato solo un grande artista del Novecento, forse il più grande con Picasso, ma anche un esempio di dignità umana e di consapevolezza artistica. Tutto ciò è verificabile nelle opere ma anche negli scritti, che furono numerosi (saggi, interviste, presentazioni di cataloghi e libri d’artista), e soprattutto nelle sue ampie corrispondenze. Egli ebbe una fitta relazione epistolare: con i colleghi, i familiari, i mercanti, i collezionisti, i responsabili di strutture museali, i letterati, i critici. Le sue amicizie furono in genere durature, assidue, partecipi. Sicché di tali amicizie i suoi epistolari raccontano un percorso protratto nel tempo, fondamentale per capire la sua personalità umana oltre che artistica. Matisse ebbe una fitta corrispondenza innanzitutto con i compagni di avventura, e in particolare con gli artisti che avevano condiviso con lui gli esordi, a Parigi, tra il 1891 e il 1898, nell’Académie Julian, nella Scuola di arti decorative e soprattutto presso lo studio Moreau all’École des Beaux-Arts: Rouault, Marquet, Manguin, Camoin e altri. Anche nella costanza delle amicizie è ravvisabile la qualità del suo temperamento, la fedeltà alle persone e ai ricordi: una fedeltà persino rigorosa, di cui si sentiva investito, e di cui gli amici avvertirono sempre l’energia e il valore. Importanti furono naturalmente le corrispondenze con i familiari, con Pierre soprattutto, il figlio minore, che a partire dagli anni venti si trasferì negli Stati Uniti, dove aprì nel 1931 un’importante galleria, che contribuì notevolmente alla conoscenza dell’arte del padre oltreoceano. E poi le corrispondenze intrecciate con la sua attività artistica, tra cui Theodor Pallady e George Besson, Louis Aragon, Raymond Escholier, Georges Duthuit, il critico parigino che sposò Marguerite, figlia del maestro. Nelle lettere, moltissime soprattutto dopo il 1941, all’indomani dell’intervento chirurgico che lo condusse sul crinale tra la vita e la morte e che gli fece affermare, nel momento della ripresa, «mi è stata assegnata una seconda vita», passano la sua storia e la verità della sua arte, i motivi dell’ispirazione e del genio, le crisi e gli entusiasmi, ma anche notizie contingenti, spicciole e occasionali informazioni, inerenti soprattutto all’esercizio quotidiano del lavoro. Essi si intrecciano con le espressioni affettive e amicali, sicché si percepisce nel leggerle un senso di passionalità umana e di intimità artistica, come se si entrasse nel tempio della sua ispirazione. Straordinarie, in particolare, sono le descrizioni delle sue opere, che Matisse riservava agli amici con meticolosità e dovizia di particolari, con l’intento di spiegarne non tanto o almeno non solo l’immagine quanto il motivo ispiratore, spesso accompagnando la descrizione con schizzi e annotazioni, riguardo ai colori o alle dimensioni del dipinto e ai contesti che l’avevano ispirato. Ciò rivela peraltro il registro intuitivo e analitico del maestro, bergsoniano si direbbe (Matisse era un lettore appassionato del grande filosofo del dualismo vitalistico). Le lettere insomma sono una preziosa risorsa per conoscere l’opera di Matisse dall’interno, nel vivo dell’espressione.

Giorgio Agnisola



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: