lunedì 14 gennaio 2013
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Anche in Francia, ben pochi ricordano che un tempo Parigi si chiamò Lutezia. Quanto a Lione, solo gli archeologi ed antichisti continuano ad associarla alla Lugdunum che fu sede della seconda zecca imperiale romana. Ma se alla radio o sulla stampa d’Oltralpe si parla dell’«Om», la squadra dell’Olympique Marsiglia che simbolizza calcisticamente il Midi, il cronista finirà per evocare la città focea, con riferimento colto ai coloni greci giunti attorno al 600 a.C. proprio da Focea per fondare la futura città portuale e mediterranea più emblematica di Francia. A pensarci bene, un po’ come per Napoli, «città partenopea» non solo per le cerchie di eruditi. Le due capitali del Sud, del resto, hanno tanto in comune. Basta aprire un elenco telefonico di Marsiglia per imbattersi in numerosi cognomi in «-iello». Debuttò alla fine dell’Ottocento la variopinta epopea della «Piccola Napoli», il quartiere marsigliese dove si stabilirono i migranti giunti dalle falde del Vesuvio. Oggi, di quell’epopea restano solo pallide ombre, ma diversi studiosi hanno ricostruito il cruciale apporto umano, culturale ed economico dei migranti partenopei e in generale italiani. Furono loro, fra l’altro, ad introdurre in Francia la pizza, poi adottata dagli autoctoni con qualche modifica e presto scaltramente ribattezzata come «provenzale». Il noto storico Pierre Milza, egli stesso di padre italiano, ha scritto: «Città italiana da sempre, la metropoli focea è stata fino al 1914 la capitale dell’immigrazione transalpina in Francia. All’epoca, sui circa 500 mila abitanti della città, se ne contano quasi 100 mila di nazionalità italiana, ai quali è bene aggiungere i naturalizzati e i discendenti di migranti, legati i primi all’immigrazione recente, gli altri a trasferimenti molto più antichi». Per ammissione orgogliosa e talora provocatoria degli stessi marsigliesi, la città focea ha sempre un po’ stonato con le sue sorelle di Francia. Greca d’origine, per buona parte di sangue italiano e più in generale mediterraneo, Marsiglia resta ancor oggi visceralmente restia a ogni rigida assimilazione gallocentrica. In comune con le altre «perle portuali del Mediterraneo» – da Istanbul a Tangeri, da Barcellona a Beirut – Marsiglia non ha solo una storia economica al diapason con gli alti e bassi del traffico marittimo. Possiede pure un centro storico rimasto un po’ lo scrigno di una certa anima popolare, nonostante le devastazioni belliche e le ondate recenti di speculazione edilizia. Al di sopra del porto, su uno sperone roccioso molto scenografico, svetta la basilica di Nostra Signora della Guardia, ottocentesca e neoromanica, meta di pellegrinaggi e cuore della devozione alla «Madre buona» – come la chiamano i marsigliesi. La monumentale statua dorata della Vergine con il Bambino, alta 11 metri, è il primo punto di riferimento dei naviganti in arrivo a Marsiglia. Le sirene funeste della seconda guerra mondiale spensero l’epoca dei ritornelli napoletani cantati sui moli. Poi, le ferite della Guerra d’Algeria aprirono una nuova fase, sempre più segnata da un fitto intreccio cittadino di radici familiari extraeuropee e in particolare maghrebine. È soprattutto questo caleidoscopio d’influenze ed accenti, questo «laboratorio antropologico mediterraneo», cugino di quello palermitano esaltato da Léopold Senghor, che l’Europa celebrerà come propria capitale culturale del 2013, accanto alla slovacca Cassovia (Kosice). Non è una sfida da poco per la città focea, da sempre profondamente cara ai francesi, ma al contempo additata di continuo, più o meno a ragione, per i suoi vezzi provinciali e i vizi: corruzione, faide politiche locali, degrado di certi quartieri, periodiche ondate di criminalità come quella recente dovuta a bande di trafficanti che ha spinto ad invocare persino l’intervento dell’esercito nelle strade cittadine. Compresa la famosa Canebière, l’arteria centrale che prende il nome dalla canapa, un tempo abbondante sui vicini moli: a suo modo, una sorta di «spaccamarsiglia»... In ogni caso, nonostante le polemiche sui ritardi di molti cantieri, le scommesse architettoniche azzardate nella zona portuale, la pertinenza di certe iniziative in calendario, la città cercherà di offrire ai visitatori soprattutto il volto dinamico di una metropoli in piena metamorfosi grazie alla cultura. In proposito, il nuovo «Museo delle civiltà d’Europa e del Mediterraneo», che dovrebbe aprire a fine primavera, è già indicato come un possibile futuro simbolo della metropoli. Grazie a un programma che conta quasi un migliaio di eventi ripartiti nella conurbazione marsigliese e anche al di là, gli organizzatori sperano di attirare 2 milioni di visitatori più del solito. Fra le iniziative più attese e controverse figura «Transumanza», sorta di colossale coreografia pastorale: per 3 settimane, lungo un itinerario di 600 km, migreranno tre colonne composte da centinaia di cavalli, capre e vacche provenienti da contrade provenzali, ma pure da Marocco e Italia (Maremma e Roma). La mandria ciclopica convergerà il 9 giugno nel cuore di Marsiglia: un’esperienza «poetica e simbolica», promettono gli organizzatori.
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