venerdì 27 dicembre 2019
Al Mufoco di Cinisello Balsamo il progetto di arte partecipata “Tra cielo e terra” di Claudio Beorchia è un racconto del territorio lombardo visto dagli "abitanti" delle edicole votive
“Santi che guardano il lago”, Pietro Sala;

“Santi che guardano il lago”, Pietro Sala; - Museo di Fotografica Contemporanea, Cinisello Balsamo

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In Lombardia si chiama santella, in Toscana tabernacolo e marginetta, nel Veneto è capitello, in Piemonte pilone e in Emilia-Romagna maestà. E l’elenco potrebbe continuare scendendo per tutto lo Stivale: sono i termini che designano le edicole votive che ospitano immagini sacre – santi, Madonne, Crocifissi... – diffusi in tutta Italia. Immagini oggetto di sguardi: ma a loro volta cosa guardano?

«Nel 2014, durante una residenza in Sicilia, nel Val di Noto, cercavo un modo diverso per raccontare il territorio. Passeggiavo per le vie e mi sono reso conto di sentirmi un po’ osservato da santi in decine di nicchie. Ho provato a mettere la fotocamera davanti ai loro occhi, e ho capito che non osservavano me ma il paesaggio che avevano di fronte».

A raccontarlo è l’artista Claudio Beorchia, che dall’esperienza ha creato un progetto (“Di fede osservante”) sviluppato anche in altre zone d’Italia e che si è poi evoluto in “Tra cielo e terra”, progetto di fotografia partecipata a cura di Matteo Balduzzi presentato fino al 1 marzo al Museo di Fotografia Contemporanea (Mufoco) di Cinisello Balsamo.

Grazie al coinvolgimento di nove musei sparsi su tutto il territorio lombardo, è stato rivolto l’invito a fotografare il paesaggio lasciando da parte il proprio “estro” ma mettendosi dal punto di vista dei santi. Tra maggio e settembre scorsi hanno risposto all’appello quasi trecento persone, che hanno inviato le immagini di 2.911 santelle: «Una risposta che ha superato ogni nostra aspettativa – commenta Balduzzi, impegnato da anni con il Mufoco in importanti progetti di arte pubblica – Il successo, a nostro avviso, ribadisce quanto un certo tipo di arte sia ancora capace di affrontare in modo semplice e giocoso questioni universali e testimonia una volta di più l’esistenza di una domanda di spazi di riflessione e sperimentazione estranei alle logiche di mercato e di consumo, anche soprattutto da parte di cittadini che vivono in territori sempre più esclusi da quell’accumulo di capitale, opportunità e sapere che si concentrano nelle grandi aree metropolitane».

“Il Crocifisso del parcheggio”, Giovanni Fossati

“Il Crocifisso del parcheggio”, Giovanni Fossati - Museo di Fotografica Contemporanea, Cinisello Balsamo

Il progetto, come spiega Balduzzi, incrocia una doppia tradizione italiana, quella della fotografia di paesaggio e la pratica concettuale del mezzo fotografico avviata da Franco Vaccari; il risultato è un doppio repertorio: del paesaggio lombardo e delle edicole votive (persino delle loro forme, spesso curiose e sorprendenti). Le quasi tremila immagini costituiscono un archivio soggettivo e partecipativo, necessariamente non scientifico (mancano i presupposti di base perché l’indagine abbia valore statistico, per quanto la sua restituzione volutamente giochi con la tassonomia e l’enciclopedia) e allo stesso tempo di forte valore antropologico e religioso.

La maggior parte delle edicole si trova in campo aperto, nelle varie declinazioni della geografia lombarda, dai monti ai laghi alla pianura. Ma non mancano borghi storici e quartieri recenti, cantieri e parchi gioco, case popolari e giardini. È una panorama che va oltre il paesaggio “santino” della veduta cartolinesca (genere che non è destinato a finire con la scomparsa del suo supporto, ma è anzi rivitalizzato da smartphone e social network) ma anche oltre quello “dannato” della super-urbanizzazione.

C’è qui la quotidianità di un habitat frammentato – tra natura e storia, capannoni e boschi, sentieri e incroci a raso – ma famigliare. Una quotidianità che è condivisa da uomini e santi: «Certo, probabilmente le persone hanno preferito andare in giro per i monti invece che per la periferia di Brescia – commenta Beorchia – come altrettanto probabilmente la densità di queste edicole è superiore in certe aree rispetto alle periferie di più o meno recente urbanizzazione. Ma queste edicole sono diffuse ovunque. In alcuni casi sono così importanti da dare il nome a località, frazioni, vie. L’occhio abitudinario tende a sottovalutarle ma quando entri nella prospettiva è impossibile non vederle».

'San Domenico di Via Tartini', Alberto Panzani

"San Domenico di Via Tartini", Alberto Panzani - Museo di Fotografica Contemporanea, Cinisello Balsamo

Quello che emerge chiaro è che le santelle hanno una loro vita. «Alcune sono costantemente attive, venerate e curate, altre ormai appaiono dimenticate. Ma questa forma di devozione è un fenomeno che non conosce stasi. Nascono sempre nuove edicole e vengono collocate nuove statue, spesso di santi “nuovi” come padre Pio».

Il progetto viene restituito attraverso la mostra e il libro Saintscapes ( Viaindustriae, euro 35,00) che, con un formato che incrocia il dizionario, le guide rosse del Touring e la Bibbia, raccoglie in 700 pagine oltre un migliaio di immagini. «Mostra e volume sono simmetrici. Al piano terra del museo – spiega il curatore – c’è in sintesi tutto il progetto: il materiale informativo preparato in itinere, i testi, una postazione con la mappa interattiva della Lombardia con tutte le 2.911 santelle e che al termine della mostra sarà disponibile online. Il libro presenta negli indici tutte le santelle con titolo, autore, luogo, gps, altitudine. Si passa poi a un primo livello di selezione, operata dall’artista che ha predisposto dieci categorie sulla base delle iscrizioni riportate sulle edicole. Si tratta di 800 casi nel volume e di oltre un migliaio in mostra, che presentano affiancati il paesaggio e il santo. L’ultimo livello presenta circa ottanta tavole con la sola visuale del santo: qui le immagini sono sagomate secondo la foggia originale dell’edicola.

Tutto il processo, in cui la componente ludica non è secondaria, secondo Balduzzi «ha evidentemente rappresentato per le persone un’alternativa alla visione ipersemplificata dei luoghi e all’immediatezza, autocompiacimento e individualismo che spesso connotano l’uso dell’immagine sui social media. Allineare il proprio sguardo a quello delle immagini sacre – in qualche modo assoluto, trascendente – ha inevitabilmente generato una temporalità sospesa rispetto ai ritmi incessanti e frammentati della vita di tutti i giorni, recuperando consapevolezza della dimensione ancestrale e sacrale, tanto dei luoghi quanto dell’atto di guardare».

“Madonna con Bambino nel Parco di via Negrelli”, Mario Gabrieli

“Madonna con Bambino nel Parco di via Negrelli”, Mario Gabrieli - Museo di Fotografica Contemporanea, Cinisello Balsamo

D’altronde questo è un progetto che insiste costantemente sullo slittamento. Osserva nel suo testo in catalogo don Umberto Bordoni: «Oggi furtivamente altri occhi, elettronici o digitali, scrutano lo spazio urbano, pubblico e privato: videocamere, smartphone, sistemi di controllo e di tracciamento, apparecchi discreti ancorati agli edifici o sospesi in altezza registrano giorno e notte lo scorrere della vita. Quello dei santi è uno sguardo diverso, legato alla figura umana, confidente e benevolo: la serenità e il senso di protezione che ispira è lontano dalle dinamiche di estraniazione e di curiosità, se non si sorveglianza e di punizione, degli attuali dispositivi di sicurezza. Sarà che ogni immagine sacra è frutto di una grazia ricevuta, di un voto, di una relazione fiduciale che ne spiega l’origine e non smette possibilmente di replicarsi nelle attese e nelle invocazioni dei passanti».

Mostra e volume costituiscono dunque un racconto stratificato: quello del rapporto tra uomo e territorio (e tra sacro e paesaggio) e quello della costruzione di un’azione comunitaria. Se la “nuova centralità della periferia” è più in voga come slogan che come pratica reale, i progetti di Balduzzi e del Mufoco mettono invece in luce la potenzialità (ma anche le quotidiane difficoltà) di un lavoro decentrato. «La cosa bella di questo lavoro – sostiene Beorchia – va ben oltre le fotografie prodotte, ma sta nel fatto che 250-300 persone sono uscite, sono andate in giro, si sono guardate attorno con occhi nuovi. L’oggetto dell’opera è stato avere cambiato il loro modo di vedere».

Balduzzi mette in guardia sul modo stesso di guardare queste fotografie: «Si tende sempre a mettere nell’arte un tasso di determinismo. La fotografia resta un oggetto muto, autoreferenziale. Quello che vuoi far dire alla fotografia è comunque una costruzione culturale. Le immagini fotografiche non dicono nulla di univoco, di assertivo. Aprono a possibilità: è la parola a dire. La fotografia è uno straordinario sistema di innesco di riflessioni. Queste immagini di santi e di paesaggi sono strumenti. Pensiamo ai lavori di Hamish Fulton, che cammina per giorni e giorni in montagna e poi presenta una sola fotografia. Perché è emozionante? Per quello che c’è in quell’immagine? Certamente no: perché ci immaginiamo l’artista che ha camminato da solo per un mese, ascoltando il vento. Di queste immagini la parte che emoziona non è la forma ma l’elemento immateriale, innimaginabile. Sono i segni di centinaia di persone che hanno attraversato il paesaggio, macinando migliaia di chilometri, senza una ragione “seria”, funzionale. È un’opera che sta quasi più nella land art che nella fotografia».

Madonna di Lourdes delle campagne”, Claudio Beorchia

Madonna di Lourdes delle campagne”, Claudio Beorchia - Museo di Fotografica Contemporanea, Cinisello Balsamo

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