giovedì 11 giugno 2015
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Nel poco meraviglioso Paese dei non-lettori, esiste una fantastica piccola repubblica della lettura, dove fin da piccoli si impara ad amare e a leggere i libri, e soprattutto, a rispettare la nobile tradizione dei librai indipendenti. Questa libera repubblica ha sede nel cuore della Lunigiana, a Pontremoli (Massa e Carrara). In un comune di poco più di 7 mila abitanti ci sono tre librerie. Già questo, crea un certo stupore, ma è in piazza della Repubblica che assistiamo a scene straordinarie che regalano un barlume di speranza per il futuro dell’editoria. Oltre mille bambini delle scuole elementari e medie, accorse all’annuale premio “Bancarellino”, vanno in estasi per un piccolo oggetto di carta. Ebbene sì, la generazione cresciuta a latte in polvere e i-Phone è letteralmente in delirio, sotto il palco su cui sbandierano le copie di Bulli con un click (edizione Il Rubino), l’opera vincitrice del giovane scrittore napoletano Roberto Bratti. Al termine della cerimonia di premiazione, ancora festosi si accalcano alla bancarella, perché sanno che questo è lo storico “regno dei bancarellai”. Gli adolescenti scelgono quello che forse è il loro primo libro comperato con i soldi della paghetta settimanale elargita dai genitori. Così rinnovano quello che Valentino Bompiani definì «il primo atto di indipendenza: il primo libro acquistato su una bancarella di un “pontremolese”».  L’appellativo, “pontremolese”, dalla metà dell’800 è sinonimo di libraio. E i capostipiti di questa tradizione di venditori ambulanti, dapprima di pietre per barbiere, di stringhe e asole, successivamente di almanacchi, immaginette di santi, e infine di volumi, partirono, «gerle in spalla», dalla verde montagna che sovrasta Pontremoli. «La maggior parte delle librerie storiche, e quindi ancora indipendenti, recano impresse nelle loro insegne i cognomi delle famiglie di Montereggio», informa orgoglioso Gianni Tarantola, presidente della Fondazione Città del Libro. Dopo una vita passata a Milano, «lavoravo nel settore periodici Rcs», il Presidente è tornato a vivere stanziale e a ritrovare le sue radici, «peraltro mai abbandonate », nel borgo dei librai, ergo quello di famiglia, a Montereggio (comune di Mulazzo). Ed è fin lassù, a 650 metri di altitudine, sul crinale del Monte Cornoviglio, che Tarantola ci guida.  Affrontando i tornanti stretti e impervi, si comprende a pieno la stoicità dell’impresa compiuta da quella generazione locale, eternata nel monumento “Al libraio”. Risale al 1858 la prima “carica dei settantuno”. Tanti furono i venditori che partirono da qui, mossi dai morsi della fame e del freddo degli inverni nevosi dei borghi abbarbicati sulle costole dell’Appennino tosco-ligure. Uomini dalle spalle larghe, ingobbite dal peso della merce, risalivano le mulattiere della via Francigena, destinazione: le città del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Erano montanari, spesso non scolarizzati, anarchici e sognatori dalla memoria di ferro battuto, allenata nel tempo, nelle lunghe ore del pascolo in cui si dedicavano alla “trascrizione” orale della Divina Commedia (Dante qui fu ospite della corte di Franceschino Malaspina, inserito nel canto VIII del Purgatorio) o dell’Orlando Furioso.  I classici di Virgilio e Cicerone già dal ’400 venivano pubblicati dai mastri stampatori di Pontremoli e Favizzano. E nel borgo incantato di Montereggio le vie sono dedicate a tutti i grandi padri dell’editoria: piazza Angelo Rizzoli, via Gerardo Rusconi, borgo Garzanti... «La mia casa è quella lì in fondo, nella passeggiata Mario Spagnol», ci invita Tarantola che con sua moglie Paola è tra le cinquanta anime scarse che popolano Montereggio. Gli anziani seduti all’unico bar del paese, quello di Tiziano Biagi («esule volontario da Milano»), rammentano ancora di «quella signora dall’accento straniero che camminava commossa per la via intitolata a suo marito Giangiacomo: era Inge Feltrinelli». Qui si respira la stessa atmosfera che oltre sessant’anni fa colpì Oriana Fallaci. «A Montereggio è difficile che la gente sappia leggere e scrivere; non ci sono che pecore e castagni e si vive mangiando formaggio e polenta dolce, in attesa che l’inverno diventi primavera e l’estate autunno, così da un anno all’altro. Eppure ogni casa è piena di libri: e a ogni stagione c’è un pastore che lascia il villaggio e va per il mondo a fare il libraio».  Parole d’amore scritte a macchina, nel 1952, l’anno della prima edizione del “Premio Bancarella”. «L’unico in cui è decisivo il giudizio della giuria dei 150 librai. Il primo premiato fu un “certo” Hemingway con Il vecchio e il mare (Mondadori), mentre l’edizione del ’58 se l’aggiudicò Pasternak per Il dottor Zivago (Feltrinelli). Da allora chiunque abbia vinto il Bancarella ha avuto il suo buon ritorno in termini di popolarità e di vendite», spiega Tarantola con l’orgoglio di appartenere a uno dei casati dei pionieri di quella merce, la cultura, che secondo qualche ministro del recente passato non darebbe da mangiare. Nutrendo il corpo con un piatto di testaroli, sfogliamo I librai pontremolesi (edizioni Tarka - Mulazzo) di Gian Battista Martinelli in cui si avverte tutto il peso di questa cultura libraria, esportata dai pontremolesi nel mondo. Ogni famiglia è legata a una o più città: i Tarantola a Milano e Belluno, i Bertoni a Venezia, i Giovannacci «attivissimi» a Biella. Il capostipite, Romeo Giovannacci, iniziò sotto i portici di Casale Monferrato che oggi portano il suo nome e Giampaolo Pansa (Premio Bancarella 1997 con I nostri giorni) lo annovera come il primo “maestro” che ha avuto. «I Maucci fondarono la più grande libreria di Buenos Aires diventando editori in Argentina, Messico e Spagna», spiega Gianni Tarantola. Vendita ed edizioni annesse, anche per i Rinfreschi a Piacenza, Vannini a Brescia, i Lazzarelli a Novara («i genitori di mia moglie Paola»), i Ghelfi a Piacenza, Cremona, Verona e Ferrara. I Fogolla partiti da Parma e arrivati a Torino, possono vantare anche un santo in famiglia, quel san Francesco Fogolla che fu giovane libraio prima di diventare missionario in Cina dove subì il martirio (il 9 luglio 1900) a Shanxi, durante la rivoluzione dei boxer. «Nella chiesa intitolata a San Fogolla (l’antica Sant’Apollinare vecchio) in agosto, dal 16 al 24, ospitiamo presentazioni e dibattiti all’interno della “Festa del libro”», informa Emanuela Dell’Orco, animatrice della rassegna e delle edizioni Tarka. Ma prima, a luglio, il sipario si alzerà a Pontremoli, per il “Bancarella”. Un sogno iniziato da quei sessanta librai che, come scrisse la Fallaci, «inaugurarono il congresso sul cucuzzolo della collina, fra i castagni e i pini di Mulazzo. Avevano alzato un palco alla meglio, con un microfono, quattro seggiole e una bandiera…». Da allora, quella bandiera degli ultimi difensori del libro non ha mai smesso di sventolare.
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