mercoledì 12 aprile 2017
L'artista ragusano e le sue narrazioni per immagini di una terra sospesa fra realtà e immaginazione, che non ha mai voluto lasciare. L'amicizia con Sciascia, Bufalino e Consolo. Mostra a Busto Arsizio
Fotografia, la Sicilia letteraria di Giuseppe Leone
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Il viaggio di Giuseppe Leone nella Sicilia reale e sognata approda a Busto Arsizio con la mostra Neorealismo siciliano (fino al 30 aprile, a Palazzo Marliani Cicogna) nell’ambito del Festival Fotografico Europeo (www.europhotofestival.it ). «Superando i limiti dell’apparenza – dice Leone – ho intrapreso un viaggio di sguardi e silenzi, che costringe l’osservatore a fermarsi ad ascoltare la quieta sonorità di questa terra dove ogni istante è reso eterno». Leone ha collaborato con riviste nazionali e internazionali. Ha esordito illustrando il volume di Antonino Uccello La civiltà del legno in Sicilia (Cavallotto, 1973). Tra i suoi libri: L’Isola nuda con testo di Gesualdo Bufalino (Bompiani, 1988); L’isola dei Siciliani con testo di Diego Mormorio (Peliti associati, 1995); Immaginario barocco con testi di Salvatore Silvano Nigro e André Chastel (Kalós, 2006); Sicilia, l’isola del pensiero Postcart, 2015). Ha esposto in numerose mostre personali in Italia e all’estero.

Restu cca è il titolo di una struggente canzone di Carlo Muratori, cantore delle tradizioni del Sud-Est della Sicilia. È il grido di chi non vuole lasciare l’isola nonostante le tante cose storte, nonostante sia una terra «unni lu malu tempu dura tuttu u tempu», come se non ci fosse mai la primavera, quella auspicata da Franco Battiato in un altro testo, con “sangue siciliano”, che ha fatto storia, Povera patria.

Così è stato ed è per Giuseppe Leone, 80 anni, il fotografo della civiltà iblea, che vive nel cuore di Ragusa – dove si arriva fra i campi segnati da secolari muri a secco, carrubi e ulivi solitari – fra le pietre barocche dei meravigliosi intarsi che scolpiscono le chiese e i palazzi di quello che può considerarsi il «Rinascimento siciliano» dopo il devastante terremoto del 1693. «Allora la Sicilia seppe rialzarsi. E Ragusa, nel tempo, sebbene fosse una terra agricola pullulava di vita: ora viviamo il benessere dell’industria, ma siamo poveri in un deserto globalizzato», dice Leone. Eppure Leone è sempre qui.


Ha frequentato Milano, l’editoria che conta (da Bompiani a Electa), ha esposto nella galleria “Il diaframma” di Lanfranco Colombo. Ma la sua terra no, non l’ha voluta mai lasciare: «Vivere a Milano non sarebbe stato per me così stimolante come lo era la mia amata terra d’origine, i cui scorci, forme e colori mi accarezzavano costantemente lo sguardo». Anche se con amarezza e rabbia la vede sempre più «devastata», in un declino che sembra incontrastabile: «irredimibile» aveva detto, profeticamente, Leonardo Sciascia. L’amico Leonardo che con Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo aveva trovato in Leone uno sguardo per dare un’immagine alle parole (il rapporto fra i tre scrittori e il fotografo è raccontato in Storia di un’amicizia, Postcart, a cura di Giuseppe Prode, pagine 116, euro 22,00). Le fotografie neorealiste di Leone sono intrise di letteratura e spaccati di antropologia, sulle tracce segnate dal poeta e studioso della tradizione contadina e rurale, Antonino Uccello.


«Un giorno – racconta Leone – mi chiamò Enzo Sellerio per visionare il mio lavoro sul paesaggio ibleo. Mi invitò a Palermo in modo da poter osservare attentamente le fotografie, insieme alla moglie Elvira. Era il 1977 quando iniziammo a lavorare al volume, pubblicato nel 1978, con il titolo La pietra vissuta. In uno dei tanti incontri in casa editrice, Sellerio mi presentò Leonardo Sciascia, che dichiarò il suo grande interesse per la provincia iblea. Nello stesso periodo ebbi l’incarico sempre da Sellerio di restaurare e stampare circa cento lastre fotografiche di fine Ottocento che dovevano costituire il corpus di un libro introdotto da uno sconosciuto professore di Comiso, Gesualdo Bufalino, che io non conoscevo e lo stesso Sellerio non aveva certezza della qualità del suo testo. Veniva nel mio studio accompagnato da un amico (né lui né Sciascia avevano la patente) in modo da seguire i lavori.

Nacque così la prima stesura di Comiso ieri - Immagini di vita signorile e rurale. Il seguito è storia nota: il testo sorprese tutti, e i Sellerio chiesero subito se il sessantenne professore avesse altre opere conservate nel cassetto. Dopo alcune pressioni e l’intervento spronatore di Sciascia, Bufalino si decise a consegnare il manoscritto Diceria dell’untore, che pubblicato dalla casa editrice, vinse il Campiello».

Il sodalizio si rafforzava e la casa di villeggiatura di Sciascia, vicino Racalmuto, alla Noce, in provincia di Agrigento, divenne uno straordinario luogo di conversazione. «Fu qui che conobbi intorno al 1981 anche Vincenzo Consolo, già affermato per il suo romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio» e con cui Leone pubblicherà poi Sicilia Barocca (Bompiani). «È alla Noce – riprende Leone – che ho avuto modo più volte di fotografare i tre giganti della letteratura siciliana insieme, fra brillanti disquisizioni: lì si incontravano le menti pensanti, le forme artistiche, le opinioni sociali e politiche della Sicilia e credo del nostro Paese».

«A quel tempo avevo in mente un mio progetto editoriale sulla Sicilia e chiesi timidamente a Sciascia un testo che potesse accompagnare le mie fotografie – continua Leone –: lui si dichiarò subito disponibile per portare avanti un discorso su Modica, vista la sua diversità e unicità tra i paesi dell’isola. Dopo quindici giorni si recò a Ragusa, insieme alla moglie Maria, e girò in lungo e largo la provincia per una settimana, documentandosi continuamente e puntando l’attenzione sulle gastronomie locali e le eccellenze del territorio: mostrò un particolare piacere per il caciocavallo, la cioccolata modicana e la torta Savoia del pasticcere Dipasquale. Nelle sue frequenti visite non poteva mancare il pranzo da Majore, “là dove si magnifica il porco”, a Chiaramonte Gulfi, il paese del grande studioso dell’Ottocento, Serafino Amabile Guastella.

A Chiaramonte Sciascia mi presentò Salvatore Silvano Nigro con il quale iniziai a collaborare, costruendo un’amicizia che dura saldamente fino a oggi e che mi permette di accendere nella memoria quei momenti profondi con i grandi autori siciliani». La contea di Modica, pubblicato da Electa nel 1983, con il testo di Sciascia e le foto di Leone, è ad oggi, uno dei libri più belli su questo pezzo di Sicilia: paesaggi e storie che il fotografo sa raccontare come in un “gioco di specchi”, fra realtà e virtualità, fra vero e immaginario, nella consapevolezza del presente scolpito dal passato, di facce che si parlano con le pietre, cadenze e gesti di persone e di un tempo, ma senza tempo.

Un percorso fotografico che Leone comincia da ragazzino: «Ai primi anni Cinquanta mio padre era partito per l’Australia, e finita la scuola, mia madre mi mandava come garzone nelle botteghe, per imparare un mestiere. Cominciai in quella di un sarto, per poi finire da un fotografo: fu un colpo di fulmine. All’inizio cercai di conciliare la mia nuova passione con lo studio della pittura. Alla fine vinse la fotografia. La mia prima macchina fu una Bessa 6x9 a soffietto». Da allora non ha più smesso e ha cambiato tante macchine Leone, che colleziona ed espone nelle vetrinette del suo studio-galleria in corso Vittorio Veneto. Sempre con uno scatto analogico e un obiettivo ben chiaro: «Raccontare, fotografando. Come in un diario dove sono rappresentate “le cose sorprendenti nascoste sotto il velo dell’abitudine”.

Un diario – conclude Leone – nel quale ho sempre tentato di raccontare come ogni giorno vivo le contraddizioni, le assurdità e le lacerazioni di questa Sicilia; e soprattutto, sia nelle feste sia nei riti privati, ho cercato di rappresentare un’umanità in cui anche la povertà ha una sua dignità». Scrive di lui Bufalino: «Nelle fotografie di Leone non cercate la collera né la pietà civile né l’avvampo della metafora; bensì, istigato dall’eccellente mestiere, un colpo d’occhio avvezzo a cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano». Nella sua Sicilia, «teatro del mondo». Con le pagine immortali dei suoi grandi amici a guidare la «resistenza».

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